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Giuseppe Verdi, vita, opere, curiosità …

Oggi parleremo di Giuseppe Verdi 

Giuseppe Verdi è nato il 10 ottobre 1813 a ‘’Le Roncole’’, una piccola frazione della cittadina di Busseto, in provincia di Parma. 

Proveniente da una modesta famiglia di commercianti e proprietari di Osterie, fin da piccolo ha dimostrato un forte interesse per la musica. Con l’appoggio del padre e del maestro del paese, Pietro Baistrocchi, a soli sei anni il piccolo Giuseppe suona sia l’organo che il pianoforte.

Suona volentieri per intrattenere Giuseppa, la sua sorellina che, a causa di una meningite, è costretta su una sedia a rotelle.

Nel 1823 il padre iscrive il giovane Giuseppe al “ginnasio”, una scuola superiore per soli ragazzi gestita da don Pietro Seletti a Busseto, dove studia l’italiano, il latino, le scienze umane e la retorica. Verdi, rimane a scuola tutta la settimana ma la domenica percorre a piedi i 6 chilometri che lo separano da casa, sia per vedere i genitori sia per suonare l’organo durante la Messa.  

Nel giugno 1827, a 14 anni, si diploma presso il Ginnasio ed iniziò a dedicarsi esclusivamente alla musica.  

Dai 13 ai 18 anni scrive numerose sinfonie, pezzi di musica sacra e marce per banda. Si trasferisce a Milano, dove chiede di entrare al Conservatorio ma purtroppo non viene ritenuto adatto. Ecco la lettera di esclusione: 

‘’Il Signor Verdi, avrebbe bisogno di cambiare la posizione della mano. Avendo però già 18 anni la cosa risulta troppo difficile, quindi inutile perdere tempo. Per quanto riguarda le composizioni che il Verdi ha presentate come come sue, applicandosi con attenzione e pazienza potrà dirigere la propria fantasia e forse riuscire nella composizione. Comunque il conservatorio non può accoglierlo in quanto sono troppi i difetti che le sue mani hanno sulla tastiera’’.

Non potendo entrare in conservatorio diventa comunque allievo di un maestro della Scala ed assiste a varie opere rappresentate presso il famoso teatro  milanese. Nel 1834 torna a Busseto e viene assunto come maestro di musica nella scuola del Comune.

Nel frattempo scrive opere e le mette in musica.  Sposa Margherita,  la figlia di Antonio Barezzi, un negoziante amante della musica e direttore della locale società filarmonica che, convinto delle capacità del Verdi, lo aveva aiutato a proseguire gli studi.  

Nel marzo del 1837, Margherita dà alla luce la loro prima figlia, Virginia Maria Luigia, a cui seguì Icilio Romano l’11 luglio 1838 che però morirono entrambi in tenera età. 

Nel frattempo nel 1839 viene rappresentata alla Scala la sua prima opera, l’”Oberto, Conte di San Bonifacio”, che riscuote un discreto successo di pubblico. 

Poco dopo, nel 1840 anche la sua amata Margherita muore per una encefalite.

Il compositore depresso per la morte dei suoi cari aveva ricevuto il libretto per musicare il Nabucco, ma, troppo preso dal suo dolore,  non se ne interessò. Un giorno mentre metteva a posto la sua scrivania, il libretto del Nabucco cadde a terra e rimase aperto proprio sul coro degli ebrei. Verdi lo raccolse, lesse e decise di metterlo in musica. 

Ecco che nel 1942 presenta alla Scala l’opera lirica che decreterà il suo definitivo successo e l’inizio della sua folgorante carriera. 

 All’interno del Nabucco c’è uno dei cori più celebri della musica teatrale italiana:  il “Va pensiero”.  

Dopo cinquantasette repliche al teatro milanese, l’opera viene successivamente rappresentata anche a: Barcellona, Vienna, Parigi, Lisbona, Berlino, Amburgo, New York e Buenos Aires. Un successo enorme!

Alcuni personaggi, come Nabuccodonosor – Re di Babilonia noto per aver distrutto il tempio di Salomone causando la prima deportazione del popolo ebraico, rimangono impressi nel pubblico italiano.   

Non dobbiamo dimenticare che all’epoca l’Italia non esisteva ed era suddivisa in tanti staterelli di proprietà diverse, prussiani, austriaci, francesi. Quindi il popolo italiano si immedesima nella figura del popolo ebraico prigioniero. 

Il coro degli ebrei,  ‘’Va pensiero’’,  finì per divenire una sorta di inno contro l’occupante austriaco che, nel 1848 occupava il ‘’lombardo veneto. 

Il periodo in cui Giuseppe Verdi compone quest’opera è lo stesso dei movimenti indipendentisti italiani. Il popolo lombardo voleva liberarsi del giogo Austriaco. Famosa era la scritta sui muri:  VIVA V.E.R.D.I, che però in realtà volevano dire: ‘’Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia’’. 

Curiosità: Dovete sapere che in Italia ci fu una lunga diatriba per la scelta dell’Inno nazionale ed, ancora adesso, se ne discute. La scelta continua ad essere tra: ‘’Fratelli d’Italia’’ e il ‘’Coro degli ebrei del Nabucco’’. 

L’inno Fratelli d’Italia nacque nell’agosto del 1847, quando il suo autore, il giovane poeta e patriota genovese Goffredo Mameli, ebbe l’idea di un canto che manifestasse il tumulto di passioni che agitavano gli italiani. L’inno fu musicato dal maestro genovese Michele Novaro ed ebbe il battesimo ufficiale nel marzo 1848 con l’insurrezione di Milano contro gli austriaci. (Le 5 giornate di Milano)  La stessa musica accompagnò la guerra dei Piemontesi contro Roma nel 1870, quando i bersaglieri entrarono a Roma attraverso la Breccia di Porta Pia, ed il territorio del Papa divenne italiano. 

Nonostante il valore patriottico, l’inno fu criticato da molti sia per l’eccessiva retorica dei versi sia per la melodia. 

Come scelta dell’inno nazionale, alla formazione del Paese Italia nel 1861 rimase in vigore la Marcia Reale dei Savoia. Dopo il crollo del fascismo però,  l’Inno di Mameli fu adottato ufficialmente dalla neonata Repubblica italiana il 12 ottobre 1946. Questo soprattutto perché gli eredi di Verdi chiedevano dei diritti di autore molto ‘’salati’’ e l’Italia, come al solito non aveva quattrini da spendere. Quindi ecco la ragione dell’Inno di Mameli.  

Ma torniamo a Verdi che, nei successivi anni farà altre composizioni che fanno accrescere sempre più la sua popolarità . Nel 1843 aveva intrapreso una relazione, destinata poi a durare mezzo secolo, con la soprano Giuseppina Strepponi. Dopo una convivenza di dieci anni i due si sposano nel 1859 e resteranno inseparabili fino alla morte della donna, nel 1897, a causa di una polmonite.

Giuseppe Verdi a tavola con amici.

Nel 1846 si trasferisce a Parigi ed inizia a lavorare per l’Opéra di Parigi. L’anno seguente fa il suo debutto a teatro “Macbeth”, ritenuto il capolavoro giovanile di Giuseppe Verdi. Durante il periodo parigino viene insignito del titolo di Cavaliere della Legion d’Onore. 

Un dipinto di Giuseppe Verdi

Nel 1849 fugge da Parigi, a causa del diffondersi del colera, e torna a stabilirsi in Italia. 

Il 1853 è l’anno della trilogia popolare: Giuseppe Verdi dà vita a il “Rigoletto”, “Il trovatore” e “La traviata”. Con tali lavori il compositore raggiunge la piena maturità artistica, la definitiva fama internazionale e si impone come il più celebre musicista del suo tempo. 

Nel 1871 fa il suo esordio, in Egitto sul palcoscenico del Teatro ‘’il Cairo’’,  La ‘’Aida’’ opera che ottenne un enorme successo e ancora oggi continua ad essere una delle sue più famose.

Nel 1887 debutta al Teatro alla Scala di Milano l’ ”Otello”, tratta dalla tragedia omonima del drammaturgo e poeta inglese William Shakespeare. 

E’ curioso ricordare che, a proposito dell’Otello,  l’editore ne sollecitasse la conclusione.  Come ogni Natale, anche in quel 1882, l’editore Giulio Ricordi aveva inviato ai coniugi Verdi un panettone, arricchito in quell’occasione da una statuetta raffigurante un ‘’moro senza gambe’’, allusione al progetto di Otello che faticava a essere compiuto.

Nel ringraziarlo per il panettone Verdi scrive:  “Voi credete proprio che non manchino che le gambe? Io credo invece che manchino gambe testa, torace, braccia, tutto, tutto, tutto”.

Otello sarà concluso solo nel novembre 1886, ma ancora nel gennaio di quell’anno l’impresario della Scala e il Ricordi si recano da Verdi con una raccolta di firme che chiedono al più presto l’Otello alla Scala. Verdi risponde che Otello non è ancora finito e che, se lo finirà, lo darà alla Scala solo se si fossero trovati i cantanti, adatti.

L’ultima sua grande opera è il “Falstaff”, datata 1893. 

Il 27 gennaio 1901, alle 2,50 di notte, il Maestro Giuseppe Verdi muore dopo 6 giorni di agonia in conseguenza di un ictus, nella stanza n. 105 del Grand Hotel di Milano, che aveva scelto sin dal 1872 come sua residenza milanese, per la sua posizione nei pressi del teatro La Scala. Gli ultimi giorni del Maestro sono sempre raccontati come un momento di grande commozione per tutta la città di Milano: i cittadini e il Comune erano così affezionati e attenti alle sue esigenze che le strade intorno all’albergo furono cosparse per diversi giorni di paglia, per non disturbarlo con il rumore degli zoccoli e delle carrozze e permettergli di riposare. Questo fatto da un po’ l’idea del livello di rispetto che gli italiani nutrivano per il personaggio. 

Giuseppe Verdi sul letto di morte.

Il primo annuncio della morte di Verdi fu dato il 28 gennaio dal librettista Giuseppe Giacosa dalle pagine del quotidiano piacentino “Libertà”, notizia che sarà presto ripresa da tutti i quotidiani e settimanali del periodo, che riportavano le attestazioni di cordoglio da tutto il mondo e non solo dall’Italia.

Queste le intenzioni testamentarie di Verdi:

 “Ordino che i miei funerali siano modestissimi e si facciano allo spuntar del giorno o all’Ave Maria, di sera, senza canti e suoni. Basteranno due preti, due candele e una croce. Si dispenseranno ai poveri di Sant’Agata lire mille il giorno dopo la mia morte. Non voglio alcuna partecipazione particolare alla mia morte’’. 
Ma tanto era l’amore degli italiani per Verdi, che non fu organizzato solo un “funerale modestissimo” com’era la richiesta del Maestro, ma ne furono organizzati due. 

Una folla immensa saluta il musicista per l’ultima volta.

La gente saliva sugli alberi per poter vedere la bara del ”maestro”.

Il primo funerale avrebbe dovuto svolgersi in forma privata, portando il feretro al cimitero monumentale di Milano, la mattina presto, lontano da occhi indiscreti se non quelli di alcuni studenti delle scuole elementari. Ma da ogni parte di Milano sin dalle prime luci dell’alba la folla accorse e furono impiegati 7 preti e non 2 come richiesto. Il corteo funebre percorse via Manzoni, piazza Cavour, via Manin, i bastioni di Porta Nuova, quelli di Porta Garibaldi fino al cimitero Monumentale. Sui bastioni attendevano da ore decine di migliaia di persone che in silenzio aspettavano il passaggio del carro funebre che, avvolto nella nebbia del mattino, trainato da cavalli con pennacchi neri era seguito da decine di migliaia di persone a testa china. 

Un mese dopo il corpo fu spostato dal Cimitero Munumentale nella cripta della Casa di Riposo per Musicisti. Anche in quell’occasione la partecipazione popolare fu altissima.  Oltre 300.000 persone si unirono al corteo, guidato da un coro di 820 voci dirette dal Maestro Arturo Toscanini che intonavano il “Va pensiero”. Il corteo era così imponente che impiegò 11 ore per raggiungere il palazzo in Piazza Buonarroti.

Verdi è sepolto nella cripta della casa di riposo per musicisti in pensione “Casa Verdi”. Struttura fortemente voluta, finanziata e inaugurata dallo stesso Verdi. Molto attiva è stata anche la sua partecipazione nella politica italiana del tempo: è stato prima parlamentare e poi senatore a vita del neonato Regno d’Italia. In tutto ha realizzato ventotto opere liriche e numerose composizioni varie, tra cui musica da camera e sacra. Giuseppe Verdi, quando non era intento a scrivere le sue opere, passava molto tempo in giro per l’Italia e l’Europa a sovrintendere i lavori per la rappresentazione teatrale delle sue creazioni. 

Giuseppe Verdi era un uomo molto riservato, dal carattere tranquillo, schietto e di grande onestà intellettuale. Era anche un buongustaio ed amava mangiare i polli allevati nel pollaio di famiglia. il Sindaco di Busseto gli regalò un giorno un pavone ma Verdi, anziché utilizzarlo per ornare il giardino della sua villa di Sant’Agata preferì metterlo in pentola e mangiarselo.

Negli ultimi tempi fu assistito dalla soprano Teresa Stolz, la prima interprete di Aida al Cairo: una calda, sincera amicizia, conservata fino agli ultimi giorni. 

Dopo la sua morte gli sono stati dedicati in tutta Italia tre conservatori, molti teatri, monumenti e statue. La città di New York gli ha dedicato un’intera piazza, la Verdi Square di Manhattan, con annessa statua raffigurante il compositore italiano. È stato oggetto anche di numerose pellicole cinematografiche e opere teatrali. Ancora oggi le sue opere vanno in scena nei più importanti teatri del mondo. Possiamo dire, senza ombra di dubbio che Giuseppe Verdi è stato il più grande compositore italiano di tutti i tempi.

Alla prossima

Elena

Ecco qui l’elenco delle sue opere teatrali. 

  1. Oberto, Conte di San Bonifacio, dramma in 2 atti (Mi, Teatro alla Scala, 17 nov. 1839)
  2. Un giorno di regno ossia Il finto Stanislao, melodramma giocoso in 2 atti (Mi, Teatro alla Scala, 5 set. 1840)
  3. Nabucco, dramma lirico in 4 atti di T. (Mi, Teatro alla Scala, 9 mar. 1842)
  4. I Lombardi alla prima crociata, dramma lirico in 4 atti  (Mi, Teatro alla Scala, 11 feb. 1843)
  5. Ernani, dramma lirico in 4 atti da Victor Hugo (Ve, Teatro La Fenice, 9 mar. 1844)
  6. I due Foscari, tragedia lirica in 3 parti  (Roma, Teatro Argentina, 3 nov. 1844)
  7. Giovanna d’Arco, dramma lirico in 1 prologo e 3 atti (Mi, Teatro alla Scala, 15 feb. 1845)
  8. Alzira, tragedia lirica in 1 prologo e 2 atti (Na, Teatro di S. Carlo, 12 ago. 1845)
  9. Attila, dramma lirico in 1 prologo e 3 atti  (Ve, Teatro La Fenice, 17 mar. 1846)
  10. Macbeth, da William Shakespeare (Fi, Teatro della Pergola, 14 mar. 1847. Nuova versione: Parigi, Théâtre Lyrique, 21 apr. 1865)
  11.     I masnadieri, melodramma (Londra, Her Majesty’s Theatre, 22 lug. 1847)
  12. Jérusalem, grand opéra  (Parigi, Théatre de l’Académie Royale, 26 nov. 1847)
  13. Il corsaro, opera in 3 atti  (Trieste, Teatro Grande, 25 ott. 1848)
  14. La battaglia di Legnano, tragedia lirica in 4 atti (Roma, Teatro Argentina, 27 gen. 1849)
  15. Luisa Miller, melodramma tragico in 3 atti  (Na, Teatro di S. Carlo, 8 dic. 1849)
  16. Stiffelio, melodramma in 4 atti (Trieste, Teatro Grande, 16 nov. 1850. Nuova versione con il titolo di Aroldo; Rimini, Teatro Nuovo, 16 ago. 1857)
  17. Rigoletto, melodramma in 3 atti  (Ve, Teatro La Fenice, 11 mar. 1851)
  18. Il trovatore, dramma lirico in 4 atti (Roma, Teatro Apollo in Tordinona, 19 gen. 1853)
  19. La traviata, opera in 3 atti  (Ve, Teatro La Fenice, 6 mar. 1853)
  20. Les vêpres siciliennes, grand opéra in 5 atti (Parigi, Théatre de l’Académie lmpériale de Musique, 13 giu. 1855)
  21. Simon Boccanegra, opera in 1 prologo e 3 atti (Ve, Teatro La Fenice, 12 mar. 1857 (Mi, Teatro alla Scala, 24 mar. 1881)
  22. Aroldo, melodramma in quattro atti  (Rimini, Teatro Nuovo, 16 agosto 1857)
  23. Un ballo in maschera, melodramma in 3 atti (Roma, Teatro Apollo in Tordinona,17 feb. 1859)
  24. La forza del destino, opera in 4 atti  (S. Pietroburgo, Teatro Imperiale, 10 nov. 1862)
  25. Don Carlos, grand opéra in 5 atti  (Parigi, Théâtre de l’Académie Impériale de Musique, 11 mar. 1867
  26. Aida, opera in 4 atti (Il Cairo, Teatro dell’Opera, 24 dic. 1871)
  27. Otello, dramma lirico in 4 atti da W. Shakespeare (Mi, Teatro alla Scala, 5 feb. 1887)
  28. Falstaff, commedia lirica in 3 atti di A. Boito da W. Sh

A questo link potrete sentire l’aria del ‘’Coro degli Ebrei tratto dal Nabucco’’ con le parole:

La Traviata … povero Giuseppe Verdi!

Ieri sera siamo andati al Forum di Frejus per assistere alla Traviata di Giuseppe Verdi.

Ora, onestamente, che cosa ci si aspetta da un’opera lirica? Ci aspettavamo di assistere alla ‘’La Traviata’’ di Giuseppe Verdi. Ci aspettavamo di godere della sua musica immortale. Già mi vedevo chiudere gli occhi e bearmi ascoltando le arie più famose come: ‘’Su Libiam’’ e ‘’Amami Alfredo’’ … invece? 

Invece ‘’ciccia’’! 

Ieri sera abbiamo assistito ad una ‘’Traviata’’ rivisitata in versione, che non saprei come definire, visto che anche ‘’moderna’’, sarebbe farle un complimento che non merita. 

Prima di tutto non c’era l’orchestra! Il che la dice lunga su che cosa possono aver fatto no? L’accompagnamento musicale era assicurato da cinque o sei musicisti che passeggiavano sul palcoscenico  e che canticchiavano ogni tanto a mò di coro. Ognuno abbigliato come meglio gli era parso. 

I Costumi infatti erano inesistenti, le voci, comprese quelle di Violetta ed Alfredo erano, per esser buoni, delle voci ‘’tristi’’, la scenografia metteva l’ansia, con quel telo di tulle immenso che imprigionava tutti i personaggi, che si muovevano a fatica, al buio illuminandosi il viso con delle torce a pila, con una musica sincopata che faceva arricciare il naso!

I tre atti dell’opera poi sono scomparsi del tutto e si sono fusi in un unico racconto, in francese per lo più.

Il regista di questa ‘’tristezza’’ è Benjamin Lazar a cui alcuni critici fanno i complimenti sostenendo che è riuscito a far ‘’cadere’’ le barriere tra opera lirica e teatro. Ma chi glielo ha chiesto? 

Siamo diventati tutti così intellettuali e conosciamo tutti ormai a memoria La Traviata, per poterla storpiare e malmenare in questa maniera?

La dama delle camelie di Dumas a cui Verdi si era ispirato per il personaggio di Violetta, ieri sera ha perso tutto il suo fascino, per trasformarsi in qualche cosa di ‘’finto’’ e di moderno. 

Certe realtà non si possono rimodellare a piacimento! La Traviata, ha un senso se vive nel contesto dell’epoca in cui è stata creata. La musica di Verdi è immortale … una buona orchestra e un buon direttore la possono eventualmente interpretare, ma senza cambiare una sola nota!  Sono inaccettabili accompagnamenti musicali come quelli di ieri sera. 

Insomma, se vi capitasse di andare a vedere La Traviata, rivisitata da Benjamin Lazar, pensateci due volte prima di acquistare i biglietti, e soprattutto …non infierite almeno voi su quel povero Giuseppe Verdi che, da quanto Benjiamin Lazar ha messo in scena ‘sta roba, si sta rivoltando nella tomba! 

Alla prossima

Elena 

”Il trovatore” di Giuseppe Verdi

Ieri sera siamo andati al teatro ”Le Forum” di Frejus per vedere il Trovatore.
Teatro pieno come al solito, eravamo seduti in platea in quarta fila … praticamente sembrava di toccare gli attori e soprattutto sembrava ci guardassero negli occhi.

Il Trovatore è un dramma in quattro atti e otto quadri, su libretto di Salvatore Cammarano, tratto dalla tragedia El Trovador di Antonio García Gutiérrez. La ‘’prima’’ di questo dramma fu fatta a Roma, al Teatro Apollo, il 19 gennaio 1853, e fu immediatamente un successo!

La foto è stata scattata da me con il cellulare … quindi è quello che è. Durante la rappresentazione è ovviamente vietato scattare foto. Qui lo spettacolo era terminato e gli interpreti stavano ringraziando il pubblico.

Dunque vediamo un pò di riassumere la trama di quest’opera che, al giorno d’oggi, risulta per forza di cose, un pò lenta ed anacronistica.
La storia si svolge in Spagna nel 1400. (XV secolo)

Parte I
Nell’atrio del palazzo dell’Aliaferia i soldati attendono il ritorno del Conte di Luna che passa, non avendo un gran che da fare,  le sue notti a sorvegliare la casa di Leonora, principessa di Aragona,  di cui è innamorato. Il Conte di Luna fa la guardia perchè teme che possa arrivare il Trovatore, di cui Leonora è innamorata. Ferrando intanto, il capo dei soldati, racconta, per passare il tempo, la storia di una zingara che fu bruciata sul rogo per avere stregato il figlio del precedente conte di Luna.  Racconta anche come la figlia di costei, Azucena, rapì e sacrificò il bambino ”stregato” sullo stesso rogo della madre per vendetta.
Nel giardino del palazzo intanto Leonora confida all’ amica Ines il proprio amore per il Trovatore. Quando le due donne rientrano nei loro appartamenti non si accorgono che nel giardino c’è il conte nascosto, in attesa di poter parlare con Leonora. Si sente intanto il canto del Trovatore; Leonora avanza per abbracciare l’amato, ma, nell’oscurità, si sbaglia e abbraccia il conte. Quando la luna esce dalle nuvole e rischiara la scena, si accorge dell’errore e si getta ai piedi del Trovatore chiedendo perdono. Pieno di rabbia il conte intima al Trovatore di svelare la sua identità. Il Trovatore dice di chiamarsi Manrico e di essere un seguace del ribelle Urgel. Nonostante i tentativi di Leonora di frapporsi, i due si sfidano a duello e Leonora cade svenuta.

Parte II
La gitana. Nell’ accampamento degli zingari, Manrico – che pur rimanendo ferito, ha vinto il duello e graziato il conte – dialoga con la madre Azucena. La zingara gli racconta i fatti passati … sopra pensiero … gli racconta che, per vendicare la propria madre, ella aveva rapito il figlio del conte, ma, accecata dalla rabbia e dalle lacrime, si era sbagliata e  anziché gettare il figlio del conte, nel  rogo ci aveva buttato il suo!  Manricom a ‘sto punto si fa delle domande e chiede spiegazioni … la donna risponde in modo elusivo ai ragionevoli dubbi di Manrico sulla propria identità ma giura che Lui è suo figlio. Manrico  le crede …
Un messaggero porta la notizia che Castellor è stata conquistata dall`esercito di Urgel e che Leonora credendo morto Manrico vuole prendere i voti e diventare suora. Manrico si precipita a cavallo presso il convento per convincerla a non farsi suora. Nelle vicinanze di Castellor il conte è in attesa di scorgere Leonora per rapirla. Si ode il coro delle religiose e tra esse c’è anche Leonora. Quando il conte, con Ferrando e il seguito, si fa avanti per rapirla, irrompe Manrico con i seguaci di Urgel.  Costoro disarmano il conte e Manrico si allontana con Leonora.

Parte III
Le truppe del conte sono appostate in un accampamento vicino a Castellor. Tra i soldati circola la certezza, che all’ indomani, in battaglia, essi vinceranno. I soldati fanno prigioniera una zingara che Ferrando riconosce: è Azucena, colei che ha compiuto il feroce infanticidio. Azucena cerca invano di negare e condotta presso gli sgherri, invoca il soccorso di Manrico. Il conte capisce allora di avere tra le mani la madre del suo rivale e quindi la possibilità di vendicare il fratello giovinetto bruciato nel rogo da costei. Intanto in una sala adiacente alla cappella in Castellor, Manrico e Leonora si apprestano a celebrare le nozze. Giunge trafelato messaggero e racconta ai presenti che Azucena è prigioniera del Conte di Luna. Manrico dice a Leonora che Azucena è sua madre e corre in sua difesa.

Parte IV
Manrico viene fatto prigioniero dai soldati del Conte e viene rinchiuso nel palazzo dell’Aliaferia. Leonora accompagnata al palazzo da Ruiz, sente l’ultimo addio di Manrico, ma decisa a salvargli la vita, si offre come sposa al conte in cambio della libertà di Manrico. Quindi, ottenuto dal conte il permesso di dare personalmente a Manrico l’annuncio della conquistata libertà, va alla prigione. Mentre il conte gioisce Leonora ingerisce il veleno racchiuso in un anello che ha al dito, piuttosto di cadere nelle mani del conte preferisce morire.
Intanto nella prigione Manrico conforta la madre. Raggiunto da Leonora, che gli racconta di aver ceduto al Conte pur di salvarlo e restituirgli la libertà … lui imbufalito la accusa di tradimento. Ma … quando vede gli effetti del veleno, capisce il gesto di Leonora e piange disperato.
Intanto sopraggiunge il conte che sente tutto e comprende di essere stato ingannato da Leonora, che nel frattempo muore. Consegnato Manrico al boia obbliga Azucena ad assistere all’ esecuzione.
Quando la testa di Manrico cade … finalmente Azucena grida al conte: “Manrico era tuo fratello. Ora mia madre è finalmente vendicata”.

Fine del dramma!

Che dire? La musica è quella di Giuseppe Verdi, quindi è bellissima. Arie come ‘’zingarella’’ e ‘’di quella pira’’ sono immortali ed ascoltarle in teatro, con l’ orchestra ‘’Opera 2001’’ non ha prezzo.
I costumi, le luci, le scenografie sono ben fatte. I solisti ed il coro della compagnia di canto sono tutti bravissimi, quindi è stato un piacere ascoltarli.
L’unica cosa che posso dire, a discapito di questa rappresentazione, è che oggi noi siamo ormai abituati a situazioni molto diverse e un ‘’feuilleton’’ di questo tipo non incontra più i gusti dello spettatore del 2018. Il che è un peccato ma purtroppo è la triste realtà.
Inoltre in uno spettacolo visivo come una rappresentazione teatrale la fisicità dei personaggi gioca un ruolo importante.
Ieri sera ad esempio, il Conte di Luna, interpretato dal baritono Giulio Boschetti riscuoteva,  grazie alla sua presenza fisica e alla sua bellezza, le simpatie delle donne presenti in sala, mentre Manrico, interpretato dal tenore David Banos, non ricopriva certo il ruolo di ‘’tombeur de fammes’’, in quanto piccolo e piuttosto bruttino.
Per tutto il tempo ho guardato la bella Leonora, chiedendomi: ‘’chissà che cosa ci troverà in costui’’? Mah …

Alla prossima
Elena