Digressione

MALPASSET (2 dicembre 1959) VAJONT (9 ottobre 1963)

“De tous les ouvrages construits de main d’homme, les barrages sont les plus meurtriers “

”Di tutte le opere costruite dalla mano dell’uomo le dighe sono le più assassine”

Ieri assieme ad Umberto ed Isa, due nostri cari amici, siamo andati a fare una passeggiata. Prima il giro attorno al bellissimo lago di Lavellan poi,  visto che era presto ed il tempo bello, ci siamo spinti fino ai resti della diga di Malpasset.

La diga di Malpasset è tristemente famosa in Francia perché a causa del suo crollo sono morte più di 420 persone. Paragonano quanto qui accaduto con la disgrazia italiana del Vajont ed esiste perfino una sorta di ”gemellaggio” tra le associazioni che le ricordano. (°)

Nonostante ci siano delle differenze nella ”meccanica” dei due eventi,  quel che li accomuna sono le vittime tra la popolazione ignara  e l’aver sottovalutata la potenza indiscussa e ciclopica della natura.

Vediamo un po’ nel merito che cosa è successo.

MALPASSET

Stiamo parlando degli anni ’50, la diga era uno sbarramento artificiale costruito a circa 7 km da Frejus sul torrente Reyran, ultimo affluente del fiume Argens e doveva assicurare l’alimentazione dell’acqua potabile alla Città di Frejus-St.Raphael-St.Aygulf.

La topografia e la geologia del sito non erano favorevoli al progetto di una diga come quella prevista, una diga ”sottile” come quella richiedeva una stretta ”gola” e una roccia molto resistente. La zona era esattamente il contrario … una ”gola” enorme, in pratica inesistente ed una roccia friabile.

Il primo e unico geologo consultato ne aveva suggerita la costruzione più a monte, ma … nessuno gli diede retta.

I geologi, ieri come oggi, erano considerati come quelli che ”rompono le uova nel paniere”!

Ma torniamo al nostro argomento.  Terminata la diga ci volle un periodo lunghissimo,  quasi cinque anni, per riempire il bacino!  Questo era dovuto al fatto che il Reyan non è un fiume ma un torrente, e come tale è alimentato da piogge.  Proprio in quegli anni ci uno dei periodi di più lunga siccità, pertanto, i controlli  sul  comportamento ”meccanico” della diga non furono mai molto rigorosi. La ”pressione” esercitata dall’acqua sulla diga stessa non cambiava praticamente mai, considerato che il bacino era sempre mezzo vuoto.

Ma … come spesso accade in Provenza, dopo un lungo periodo di siccità ecco arrivare, nella seconda metà del mese di novembre, un periodo di piogge fortissime. Queste piogge hanno gonfiato a dismisura il fiume Reyran che ha riempito in brevissimo tempo il bacino.

Nonostante l’acqua crescesse velocemente, non fu ritenuto necessario aprire gli ”scarichi” di sfogo dell’acqua,  confidando nella tenuta della diga, ma soprattutto per non mettere in pericolo il cantiere dell’autostrada A8 in costruzione e proprio in direzione della valle sottostante.

Il 2 dicembre del 1959 l’acqua superò invece la cima della diga riversandosi rovinosamente nella valle. Dopo pochi minuti la diga stessa cedette e 50 milioni di metri cubi d’acqua e detriti pietrosi distrussero campagne e villaggi arrivando fino al mare, provocando la morte di 421 persone e danni per 70 milioni di dollari.

barrage_avant

L’ingegnere a cui era stata affidata l’opera, Andrè Coyne, allora presidente dall’associazione internazionale delle grandi opere e specialista incontestato nella costruzione di dighe ad arco fu indagato e processato assieme all’impresario titolare dell’opera.

L’ingegnere Andrè Coyne morì a distanza di sei mesi dalla tragedia mentre il costruttore si suicidò al volante della sua vettura sulla strada dell’Esterel.

malpassetMalpasset ieri e oggi … 

In rete ho trovato molte notizie tecniche della diga, tutte in francese e non facili per me da interpretare, ma ci provo ugualmente.

La struttura della diga Malpasset era sottile, ad arco semplice (ignoro cosa voglia dire) costruita da blocchi contigui di calcestruzzo versato sul posto.

  • Lunghezza in cima: 223 m.
  • altezza: 66 m
  • spessore alla base 6,82 m
  • spessore al coronamento:  1,5 m
  • larghezza massima della fondamenta: 12 m
  • Profondità max delle fondamenta, circa 7m – variabili secondo le zone
  • canale si scarico sulla cima: larghezza 30 m.
  • volume totale: 50 milioni di M cubi
  • materiale utilizzato: calcestruzzo

Quindi ricapitolando:  la diga ha ceduto … si è rotta in mille pezzi e grandi massi sono franati a valle.

Io NON sono un ingegnere e probabilmente le dighe si fanno così … ma, avendo osservato da vicino i resti mi vien da pensare che, se invece di appoggiare i massi di calcestruzzo uno contro l’altro li avessero ”legati” tra loro con del ferro, magari non sarebbero caduti in quella maniera. Sono caduti a fette intere sotto la pressione dell’acqua!

VAJONT

Ecco le caratteristiche tecniche di quella che al tempo era ritenuta una delle più grandi opere al mondo e la più alta in Europa:

  • data di costruzione: tra il 1957 e il 1960
  • altezza : 262 metri
  • larghezza corda dell’arco di coronamento : 169 metri
  • lunghezza dell’arco di coronamento : 190,50 metri
  • spessore alla base : 21,11 metri
  • spessore sul coronamento : 3,40 metri
  • calcestruzzo usato : 353.000 metri cubi
  • quota del coronamento : 725,50 metri s.l.m.
  • quota del massimo invaso : 722 metri s.l.m.
  • materiale usato: calcestruzzo

Il disastro del Vajont  (Valle tra il Friuli Venezia Giulia e il Veneto) avvenne la sera del 9 ottobre 1963 a causa della caduta di una colossale frana staccatasi dal pendio del Monte Toc nelle acque del sottostante bacino. Circa 260 milioni di m³ di roccia, un volume più che doppio rispetto all’acqua del bacino, scivolarono alla velocità di 30 m/s (108 km/h), nel bacino artificiale sottostante che conteneva circa 115 milioni di m³ d’acqua al momento del disastro.

Vajont-Map01

Mappa di ubicazione della diga

L’acqua salì improvvisamente oltre la cima della diga e inondò gli abitati del fondovalle tra cui Longarone, causando  la morte di 1.917 persone.

Il disastro causato dalla frana coinvolse anche Erto, cittadina geograficamente opposta a Longarone, vicino alla nuova riva del lago artificiale del Vajont dopo la costruzione della diga.

Ricapitolando: la diga, nonostante le sollecitazioni quasi 10 volte superiori a quelle previste dal progetto, resistette all’ondata che distrusse solo parte della ”mensola di calcestruzzo armato” su cui poggiava la strada di collegamento con la riva sinistra del Vajont.

Anche qui vennero fatti studi geologici, ma … vediamo un po’ come:

I lavori di costruzione della diga cominciarono nel 1957. Il versante sovrastante la diga fu subito tenuto sotto controllo. Per questo motivo il famoso specialista austriaco in esplorazioni minerarie Leopold Muller fu consultato per valutare i problemi di stabilità della roccia. Tuttavia in questo primo studio le sue indagini non rivelarono la potenziale frana che poi sarebbe stata vista come causa determinante, anche se la conclusione fu che la riserva idrica poteva causare frane, anche di un milione di metri cubi.

Dal Piaz, comunque, ancora l’anno dopo, nel 1958, non ritenne che fossero presenti rischi concreti di frane pericolose. Solo nel 1959 il geologo Edoardo Semenza – figlio del capo progettista Carlo Semenza – scoprì in una ricognizione sul campo la presenza, nel versante sinistro, di evidenti pericoli derivanti da una zona rocciosa non cementata alle altre, una zona lunga circa 1,5 km. Ciò indusse Edoardo Semenza ad ipotizzare la presenza di una ”paleofrana”. Le prospezioni geofisiche del geologo prof. Pietro Caloi sembravano invece indicare nello studio successivo (novembre 1959) che la zona a sinistra della vallata fosse “eccezionalmente” solida, rocce compatte coperte da soli 10-20 metri di detriti sciolti.

Quindi la diga venne costruita … e il monte ci crollò dentro!

A destra la diga oggi: 

v1.jpg_200969223334_v1

Il 20 febbraio 1968 il  giudice istruttore di Belluno, Mario Fabbri, depositò la sentenza del procedimento penale contro i responsabili della disgrazia, le ditte appaltatrici: SADE, Montecatini, ENEL e il Ministero dei lavori Pubblici.

Gli imputati:

Alberico Biadene (direttore del Servizio costruzioni idrauliche della Sade), Mario Pancini (direttore dei lavori della diga del Vajont ), Pietro Frosini (ex presidente della IV Sezione del Consiglio superiore Lavori pubblici e membro della Commissione di collaudo), Francesco Sensidoni (capo del Servizio dighe del ministero Lavori pubblici e membro della Commissione di collaudo),  Curzio Batini (presidente della IV sezione del Consiglio superiore dei Lavori pubblici), Francesco Penta (geologo consulente della Sade e membro della Commissione di collaudo che però nel frattempo era deceduto), Luigi Greco (presidente del Consiglio superiore Lavori pubblici e membro della Commissione di collaudo – anche lui deceduto), Almo Violin (ingegnere capo del Genio civile di Belluno), Dino Tonini (capo dell’ufficio studi della Sade), Roberto Marin (ex direttore generale dell’Enel-Sade) e Augusto Ghetti (direttore dell’Istituto di Idraulica dell’Università di Padova e responsabile degli esperimenti su modello di Nove).

Due di questi, Penta e Greco, nel frattempo morirono, mentre Pancini si tolse la vita il 28 novembre di quell’anno.

Il giorno dopo iniziò il Processo di Primo Grado e che si concluse il 17 dicembre del 1969. L’accusa chiese 21 anni per tutti gli imputati (eccetto Violin, per il quale ne vennero richiesti 9) per disastro colposo di frana e disastro colposo d’inondazione, aggravati dalla previsione dell’evento e omicidi colposi plurimi aggravati. Biadene, Batini e Violin vennero condannati a sei anni, di cui due condonati, di reclusione per omicidio colposo, colpevoli di non aver avvertito e di non avere messo in moto lo sgombero. La prevedibilità della frana non venne riconosciuta.

A parte il fatto che per un disastro avvenuto nel 1963 già nel 1968 (5 anni dopo) ci fosse il primo processo la dice lunga sul come siamo peggiorati nel tempo … ”allora” , tra l’altro, processavano i ”colletti bianchi” e non si sarebbero nemmeno sognati di dar la colpa agli operai! Le cose però sono ”degenerate” rapidamente … tant’è che il rimborso dovuto al familiari delle vittime si concluse in Cassazione nel 2000,  32 anni dopo!  Non credo che di familiari delle vittime ce ne fossero rimasti poi molti …

Comunque, giustizia a parte, queste sono state due disgrazie che ”forse” avrebbero potuto esser evitate.

Mi chiedo se queste ”lezioni” ci abbiano insegnato qualche cosa … oppure se continueremo imperterriti a sfidare ”Madre natura”!

Alla prossima

 

Elena

Processo di Cassazione Vajont: http://temi.repubblica.it/corrierealpi-diga-del-vajont-1963-2013-il-cinquantenario/37-anni-per-i-risarcimenti-del-vajont/

(°) Gemellaggio Malpasset-Vajont: http://corrierealpi.gelocal.it/cronaca/2012/09/28/news/con-frejus-un-gemellaggio-nel-ricordo-dei-disastri-1.5774725

 

fonti:

http://paysdefayence.free.fr/malpasset/gferro.htm

http://www.giorgiotemporelli.it/sites/defaultfiles/articoli/63_vajontealtridisastri_1.pdf

MALPASSET (2 dicembre 1959) VAJONT (9 ottobre 1963)ultima modifica: 2014-11-04T09:16:27+01:00da elenasaita
Reposta per primo quest’articolo

I commenti sono chiusi.