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L’Italia e i 30 anni di berlusconismo …

Pensierino del mattino …
Il 26 gennaio 1994 – trent’anni fa, Silvio Berlusconi, pace all’anima sua, scendeva in politica e giustificava questo suo nuovo interesse solo ed esclusivamente grazie all’immenso amore che provava per il proprio Paese.
Forte delle sue TV lanciava messaggi rassicuranti e filantropici all’Italia intera.
Il primo in assoluto a trasmettere via etere questo immenso amore per l’Italia fu, guarda i casi della vita, Emilio Fede da Rete 4!
Fino a quel momento i partiti nascevano o per volontà parlamentare, oppure su pressione di gruppi di interesse, che comunque erano espressione della società.
Per Berlusconi invece la sua discesa in campo è dovuto solo ed esclusivamente alle tv! Sue tra l’altro. Già questo avrebbe dovuto farci suonare un ‘’campanello d’allarme’’. Ma a noialtri sia il ragionamento a più livelli che il ‘’conflitto di interesse’’ notoriamente fanno ‘’un baffo’’!

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Comunque… senza voler fare la pignola, la domanda sarebbe: ‘’Di questo sviscerato amore per l’Italia a ‘’noi popollo’’ che cosa è rimasto?
Ad onor del vero Mediaset sta benissimo ma… noi?
Eppure, nonostante aver sbattuto più volte la faccia contro il muro, continuiamo a dar retta al ‘’vuoto cosmico’’ di chi si presenta meglio, a chi risponde a tono, a chi non si fa mettere i piedi in testa, ai più aggressivi insomma.
Ma… siamo sicuri che per governare con lungimiranza sia sufficiente l’aggressività?

Che cosa ci è successo? Mah…

Alla prossima

Elena

SIRIA- una guerra sporca …

… come tutte le guerre d’altronde. Ma questa ci fa orrore in modo particolare perchè, in teoria, ci sentiamo tutti troppo ”evoluti” per assistere indifferenti a ‘sto massacro!
Proviamo a mettere qualche punto fermo … giusto per cercare di capirci qualche cosa in ‘sto caos maledetto …

Quando è iniziata la crisi?
Nel marzo 2011 è esplosa la rivolta popolare contro il regime guidato da Bashar Assad. Un pò sull’onda delle altre Primavere Arabe e un pò per eliminare il regime del partito Bath. Il potere ha reagito alle manifestazioni di protesta con una repressione feroce. La contestazione, di stampo salafita, in seguito e grazie agli aiuti di nazioni sunnite del Golfo Persico si è trasformata in luna vera lotta armata.

Chi sono gli Assad?
Appartengono alla comunità minoritaria degli alawiti. Bashar è salito al potere nel 2000 alla morte del padre Hafez che era diventato presidente grazia ad un golpe nel 1970. Il delfino designato era Basil Assad, ma è deceduto in un incidente stradale e questo ha proiettato Bashar al vertice di un regime che conta comunque su un appoggio di parte della popolazione.

Chi sono i ribelli?
È uno schieramento variegato. Inizialmente erano disertori dell’esercito che hanno fatto fronte comune con settori della contestazione. Oggi operano dozzine di fazioni nazionaliste, islamiste, jadiste ed è presente anche l’Isis che vorrebbe instaurare la Sharia. I rapporti tra le formazioni non sono sempre facili, frequenti i cambi di alleanza, i contrasti e anche le battaglie tra loro. Il punto debole è la mancanza di coesione, l’assenza di un progetto comune e una leadership non ben identificabile.

Chi appoggia gli insorti?
Arabia Saudita, Qatar, Turchia sostengono gruppi diversi con denaro, invio di armi, supporto diretto e indiretto. Ognuno di questi paesi manovra per esercitare il suo ruolo attraverso gli ‘’insorti’’ da loro appoggiati e che combattono sul territorio. I paesi occidentali, specialmente Usa, Francia e Gran Bretagna, hanno garantito aiuti ad alcune ‘’brigate’’ dell’opposizione, ma non si capisce nemmeno bene quali … visto che c’è sempre il timore di scegliere il partner sbagliato.

Chi appoggia il regime?
La Russia, che ha schierato un contingente militare, e dispone di un paio di basi. L’Iran, da sempre alleato della Siria, ha inviato consiglieri e reclutato miliziani sciiti in Afghanistan, Pakistan, Libano, Iraq, che sono poi stati mandati a combattere a fianco dei governativi di Assad. Il movimento sciita libanese Hezbollah. L’Iraq. Teheran considera questo conflitto come parte di quello più ampio che oppone sciiti e sunniti. Per la stessa ragione i paesi del Golfo Persico si sono mobilitati in favore dell’insurrezione. Insomma un ‘’pastrocchio’’ di interessi ed etnie.

Quali sono gli obiettivi degli insorti?
Rovesciare Assad e sostituirlo con una nuova forma di governo. Ma sul futuro di questa ‘’nuova forma di governo’’ visto il numero e la diversità degli opponenti al regime, le idee sono diverse, confuse e … non manca chi insegue lo stato islamista. In passato i Paesi che sostengono l’opposizione hanno chiesto l’immediata partenza del dittatore, posizione che però è stata addolcita. Il leader se ne deve andare, ma senza fretta. C’è il timore del vuoto di potere e dunque si spera in qualche forma di transizione.

Quali sono gli obiettivi di Assad?
Piano A: riconquista dell’intero territorio siriano. Piano B: creazione di uno stato che comprende i principali centri urbani e l’area costiera. Ci sono evidenti rischi di spartizione, in particolare nel settore nord, al confine con la Turchia. Qui i guerriglieri curdi, giocando su più tavoli, puntano a rafforzare i loro territori. E per questo manovrano cercando sponde negli Usa, che garantiscono loro assistenza militare. Damasco però non vuole la frammentazione del territorio e quindi l’attrito con i curdi aumenta fino ad arrivare a prendersi a fucilate…

Quali sono gli obiettivi della Turchia?
Creare una fascia di sicurezza nel nord della Siria con due target: impedire la nascita di un’entità autonoma curda e disporre di un trampolino controllato da ribelli pro-turchi per incidere sul futuro della Siria. Negli ultimi mesi sono mutati i rapporti con i russi. Erano sull’orlo della guerra, ora c’è stato un riavvicinamento, forse temporaneo e tattico. Tutto cambia rapidamente e a seconda delle zone geografiche o del momento.

Quali sono gli obiettivi della Russia?
1) Proteggere l’alleato siriano. 2) Estendere la propria presenza militare nella regione. 3) Accrescere il peso nel Mediterraneo orientale. 4) Tenere a bada le ambizioni turche e contrastare il passo agli Usa. Da qui la presenza di truppe in Siria e di un grande dispositivo aeronavale. Il vero avversario del Cremlino sono gli insorti, l’Isis viene solo in un secondo momento. L’intenzione è quella di spingere i ribelli verso le ali più estreme in modo da negare l’esistenza di un’alternativa digeribile al regime. E in effetti l’azione del Cremlino non solo ha salvato Assad, ma gli ha permesso di recuperare molto terreno a scapito degli avversari.

Quali sono gli obiettivi della Cina?
Appoggiano Russia e Iran nel mantenere il regime di Assad. Probabilmente il loro interesse più grande è quello di voler mettere le mani sulla ricostruzione del Paese alla fine del conflitto.

Quali sono gli obiettivi Usa?
Lotta allo Stato Islamico e influenzare, attraverso parte della ribellione, il futuro della Siria. La presidenza Obama era stata però comunque prudente, la Casa Bianca aveva voluto evitare un coinvolgimento massiccio. Gli americani dispongono poi di due avamposti nell’area curda, basi dalle quali lanciano operazioni contro i jihadisti del Califfato.

Quali sono gli obiettivi dell’Isis?
Oltre all’instaurazione della Sharia … hanno ovviamente bisogno di un terreno e quindi difendono le cosiddette sone conquistate e cioè le ‘’aree del Califfato’’ mantenendo la continuità territoriale, se possibile, tra il nord est della Siria e l’Iraq. Gli uomini di al Baghdadi controllavano città ed ampie zone che recentemente hanno però perso. Nel conflitto siriano si battono contro i ribelli contro Assad, contro gli Usa, contro i curdi e contro il regime.

Questa dovrebbe essere Aleppo prima e dopo …

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E’ notizia di oggi, 19 marzo 2018, che la città di Afrin sta per cadere. Se non è già caduta. La bandiera turca ora sventola sugli edifici pubblici della capitale del cantone della Siria nord-occidentale controllato da tre anni dai curdo siriani. Dopo un’offensiva durata 58 giorni, l’esercito turco, insieme alle milizie arabo-sunnite dell’esercito libero siriano, sembra aver raggiunto il suo primo obiettivo.

Le organizzazioni internazionali hanno accusato le forze governative e le sue milizie di usare i civili come scudi umani, di puntare intenzionalmente le armi su di loro, di usare armi chimiche, di eseguire omicidi di massa. Ma anche i ribelli anti-governativi sono stati accusati di abusi dei diritti umani tra cui torture, sequestri, detenzioni illecite ed esecuzioni sia di soldati che di civili.
I cittadini siriani … uomini, donne, vecchi e bambini non sanno più come fare per salvarsi. Vivono come topi sotto le macerie … non hanno né cure mediche … né cibo nè acqua.

Ma quanto può ancora durare questo sfacelo? Alla faccia della Guerra Civile! Una guerra vergognosa in cui si mescolano potere, odio razziale, odio religioso, interessi nazionali diversi … che orrore! Proprio vero che discendiamo da Caino e Abele!

Alla prossima

Elena

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fonti: sole24ore,corriere,stampa.wikipedia,rete in generale

Guerre e conflitti non rispettano nulla!

Sulle rive del Giordano, nel deserto bruciato dal sole, rovinata dagli elementi atmosferici e dalla guerra c’è una piccola, malridotta chiesetta romanica, che aspetta ormai da 50 anni che qualcuno entri e preghi tra le sue mura. Questa chiesetta, nei cui dintorni sono disseminate mine antiuomo, è uno dei posti ritenuti più ”santi” dai cattolici di tutto il mondo. Si ritiene infatti che sulle rive del Giordano, proprio in questa zona, sia stato battezzato  Gesù Cristo il Salvatore!

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Vi sono altre piccole chiese in questa zona, ma sono decadi che nessuno ci mette piede dentro, la zona è infatti disseminata da qualche cosa come 5000 mine anti uomo! Fili spinati e alti reticolati tengono i visitatori lontani, cartelli con su scritto ”pericolo mine” in Arabo, Inglese ed ebraico avvisano del pericolo.

Quando la guerra dei ”sei giorni” (°) finì nel 1967, gli israeliano e i giordani misero mine dappertutto. Perché? Perché qui il fiume Giordano è largo solo pochi metti, quindi è facile da attraversare per un esercito, per cui onde evitare eventuali passaggi di persone ”non gradite” furono messe le mine antiuomo!

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Nonostante i due paesi abbiano firmato un trattato di pace nel lontano 1994 … le mine non furono mai tolte!

Tutto questo sfacelo sta forse per cambiare!  La più grande organizzazione umanitaria di rimozione mine, l’ALO TRUST, ha ricevuto infatti il permesso dai Paesi che vantano diritti sulla zona, per rimuovere finalmente quegli orrori!

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Tutta la zona è sotto il controllo militare ed è tutta recintata quindi non ci sono state vittime, in quanto è impossibile inoltrarsi.

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La riva est del Giordano è chiamata Al-Maghtas, che significa: ”battesimo”, dalla parte opposta del fiume, sulla riva ovest, il territorio è chiamato ”Qasr el-Yahud,” che significa: ”passaggio degli ebrei”. Il vecchio testamento menziona il passaggio del fiume Giordano dagli ebrei .

L’UNESCO, dopo studi approfonditi,  ha riconosciuto queste zone, come sito ufficiale del battesimo del Cristo.

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Un uomo si bagna nel fiume Giordano, lo stesso fiume in cui San Giovanni Battista battezzò Gesù …

Theophilo III,  il patriarca greco ortodosso di Gerusalemme parla con enorme rispetto di questa zona in cui è nata la cristianità, e si auspica che presto turisti e credenti possano tornare a pregare in queste chiese e bagnarsi nel Giordano.

La storia della cristianità inizia sul Monte Sinai con il profeta Mosè e culmina con la nascita del Cristo a Betlemme e la sua crocifissione e resurrezione a Gerusalemme.

Bonifichiamo dalle mine queste zone … restituiamole ai credenti!  La guerra non rispetta nulla e nessuno, quando lo capiremo, forse … sarà ”troppo tardi”!

Alla prossima

Elena

 

(°) La guerra dei sei giorni – un conflitto combattuto tra Israele da una parte ed Egitto, Siria e Giordania dall’altra, all’interno dei conflitti arabo-israelianie vinto da Israele .

PALESTINESI … CHE COSA HANNO FATTO DI MALE PER MERITARSI UNA COSI’ MISERA ESISTENZA ????

Non hanno fatto proprio ”nulla” … il dramma è che la cosiddetta società ”civile”,  nonostante tutte le sovrastrutture che noi ci abbiamo messo attorno, per renderla ”buona e bella”,   alla fin dei fini … sta sempre e solo dalla parte dei ”più forti”.

Vediamo un po’ , a sommi capi, in che cosa consiste il ”calvario dei palestinesi” …

Tra il 1920 e il 1948, l’area della Palestina Storica è governata dal governo britannico come parte del mandato della Società delle Nazioni. Il 29 novembre 1947, la seconda seduta del Consiglio Generale delle Nazioni Unite approva la divisione della Palestina in stati ebraici e stati arabi, con 33 voti a 13, 10 astenuti e un assente. I vertici arabi (dentro e fuori la Palestina) si oppongono alla spartizione, sostenendo che questa violi i diritti della maggioranza dei palestinesi!

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A causa dell’escalation di violenza scaturita a seguito del piano di spartizione e alla fine del mandato britannico in Palestina, oltre 700,000 palestinesi lasciano le proprie terre che,  dal 15 maggio 1948,  appartengono, grazie alla decisione dell’ONU, ad Israele. Questa migrazione forzata è nota come Nakba, che, in lingua araba significa  ”catastrofe” !  Nella foto, un convoglio di camion trasporta i rifugiati palestinesi e i loro averi da Gaza a Hebron, in Cisgiordania. – 1949 Archivi UNRWA, fotografo sconosciuto.

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I palestinesi cominciano a lasciare le loro terre già alla fine del 1947, ma la più grande migrazione si ha tra l’ aprile e l’ agosto del 1948. A partire dall’autunno 1948, prende forma una catastrofe umanitaria di immense proporzioni, con oltre 700,000 persone in fuga.  – 1948 Archivi UNRWA, fotografo sconosciuto.

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Le vite dei rifugiati palestinesi sono sconvolte, alle prese con malattie, sovraffollamento, mancanza di cibo e acqua  vivendo in posti sconosciuti. Molti posseggono ormai solo le cose che possono trasportare.  Hanno perso la loro casa, la loro terra, la loro famiglia … Hanno perso una vita intera.  – 1948 Archivi UNRWA, fotografo sconosciuto.

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Una donna palestinese, siede con i suoi bambini, davanti a quella che era la sua casa, e dove non potrà mai più entrare.  I palestinesi sono estromessi dalle loro case, econdo quanto stabilito dalla linea di armistizio del 1949 (la cosiddetta Linea Verde), dopo il conflitto arabo-israeliano del 1948. – senza data. Archivi UNRWA, fotografo sconosciuto.

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UNRWA, l’Agenzia creata dall’Assemblea Generale nel novembre 1949 per portare sviluppo e assistenza di emergenza alle comunità, comincia le operazioni sul campo in Medio-Oriente nel 1950. Questa foto ritrae alcuni giovani rifugiati palestinesi su un trattore vicino ad una scuola dell’UNRWA. – senza data. Archivi UNRWA, fotografo sconosciuto.

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Il 5 giugno del 1967, scoppiano le ostilità tra Israele e gli stati Arabi confinanti. Circa 400,000 palestinesi fuggono verso la Giordania dalla Cisgiordania e Gaza attraversando il ponte di Allenby, distrutto nel corso dei combattimenti. A piedi, i rifugiati trasportano sulle spalle i malati, gli anziani e i pochi averi rimasti. – 1967. Archivi UNRWA, fotografo sconosciuto.

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Molti degli sfollati durante il conflitto arabo-israeliano del 1967 erano già registrati come rifugiati, e per questo rifugiati una seconda volta. Circa 150.000 rifugiati registrati scappano dalla Cisgiordania verso la Giordania. Altri 38.500 lasciano Gaza per la Giordania. Circa 16,000 rifugiati registrati dalle alture del Golan in Siria si rifugiano principalmente a Damasco e Dera’a, nel sud. Per gestire il flusso di nuovi migranti, vengono creati 9 campi, sei di questi in Giordania. 48 anni dopo, l’occupazione israeliana nei territori palestinesi continua. In questa foto una ragazza si trova sul ponte Allenby, a 8 km da Gerico e 43 da Gerusalemme.  – 1967. Archivi UNRWA, George Nemeh.

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Per tutta la durata del violento periodo che va dal 1974 al 1990, compresa l’invasione israeliana del 1982, i campi palestinesi in Libano sono terreno di pesanti battaglie e tragedie. Dei 16 campi sul territorio libanese, ne rimangono solo 12 nel 1990. La foto mostra una donna con il figlio mentre fanno ritorno al campo di Burj al-Barajneh, dopo aver appreso che un parente stretto è stato ucciso. – 1986 Archivi UNRWA foto di H. Haidar.

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Il massacro di diverse centinaia di palestinesi e altri civili nel campo di Sabra e Shatila, a sud di Beirut, tra il 16 e il 18 settembre 1982, mostra in maniera drammatica la vulnerabilità dei rifugiati palestinesi.  – 1982Archivi UNRWA, fotografo sconosciuto.

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Nel dicembre 1987, scoppiano gli scontri tra le forze di sicurezza israeliane e i palestinesi nel campo di Jabalia, che si estendono alla Striscia di Gaza e alla Cisgiordania. I violenti scontri tra le truppe israeliane e i palestinesi non si fermano e, alla fine del mese, si contano più di 20 palestinesi uccisi e molti altri feriti. È l’inizio dell’Intifada, la sollevazione, durante la quale oltre 1300 tra israeliani e palestinesi perdono la vita. In questa foto vediamo una scena di vita quotidiana, nella Striscia di Gaza, durante la prima Intifada.  – 1988 Archivi UNRWA foto di George Nemeh.

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La speranza per le generazioni future arriva nel 1993 quando il Governo di Israele e l’OLP firmano gli Accordi di Pace di Oslo, accordandosi su un processo di pace che lascerebbe alla Palestina il diritto all’autogoverno. Questa foto mostra un gruppo di palestinesi nel campo di Bureji a Gaza, mentre guardano la storica firma degli Accordi del Cairo il 4 maggio del 1994, un seguito degli accordi di Oslo,  in cui vengono inclusi i dettagli dell’autonomia palestinese. – Archivi UNRWA foto di Munir Nasr.

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Nel 2000 un’ondata di proteste e violenze porta a quella che poi è stata conosciuta come la Seconda Intifada nei territori palestinesi occupati. Le violenze continuano per diversi anni, con un gran numero di morti e feriti. I rifugiati palestinesi in Cisgiordania e Gaza si trovano in una situazione economica disastrosa: embargo e violenza hanno distrutto la maggior parte delle infrastrutture e reso centinaia di migliaia di persone dipendenti totalmente dall’assistenza umanitaria. Nella foto, un palestinese corre di fronte ad un carro armato israeliano mentre distrugge case vicino al confine egiziano, nel campo rifugiati di Rafah, nella parte sud della Striscia di Gaza. –  2004 UNRWA foto Khalil Harar

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Nell’Aprile del 2002 un’incursione militare israeliana nel campo Jenin in Cisgiordania distrugge 150 edifici lasciando circa 435 famiglie senza casa. In seguito, il campo è stato ricostruito completamente grazie al più grande progetto di ricostruzione compiuto finora dall’UNRWA.  –  2002 UNRWA foto Mia Grondahl

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Nell’estate del 2002 il Governo israeliano approva la costruzione di una barriera con l’obbiettivo (o la scusa)  di prevenire l’ingresso di kamikaze palestinesi in Israele. La maggior parte del percorso della Barriera, circa l’87%, si srotola però all’interno della Cisgiordania includendo Gerusalemme Est, invece che verso la linea dell’Armistizio del 1949. Il 9 luglio del 2004, la Corte di Giustizia emette un Giudizio Consultivo sulle Conseguenze Legali della Costruzione del Muro nei Territori Palestinese Occupati, stabilendo che la costruzione del Muro e il regime associato, anche nei territori attorno e dentro Gerusalemme Est, sono contrari alla legge internazionale. Nella foto, pastori e le loro capre davanti alla Barriera, vicino al Monte degli Ulivi a Gerusalemme. – senza data UNRWA Archive Photo by J.D. Toreai

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La barriera in Cisgiordania, con i suoi checkpoints, i blocchi stradali e il sistema di permessi necessari all’ingresso, ha creato un regime di chiusura che ha avuto effetti disastrosi su tutti gli aspetti della vita dei rifugiati palestinesi in Cisgiordania; isolando comunità e separando decine di migliaia di persone dai servizi, dalle proprie terre e dai mezzi di sussistenza. Con una popolazione mediamente composta al 27% da rifugiati palestinesi, circa 170 comunità in Cisgiordania risentono direttamente della costruzione della Barriera. Questa immagine mostra rifugiati palestinesi del villaggio di Biddu (vicino Gerusalemme) mentre aspettano all’ingresso della barriera per entrare nei propri campi durante la raccolta delle olive nell’Ottobre 2008.  – 2008 UNRWA foto Isabel de la Cruz

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La maggior parte dei beduini attualmente in Cisgiordania sono rifugiati palestinesi originari dei territori tribali dove si trova ora il deserto del Negev. Molti vivono sotto la soglia di povertà. L’Amministrazione Civile israeliana sta creando un piano per il loro trasferimento forzato dalle aree centrali della Cisgiordania alle città recentemente costruite, come Jabal (vicino a Gerusalemme) e Nweima (vicino a Gerico). La comunità beduina si è espressamente e ripetutamente opposta allo spostamento. Come rifugiati palestinesi, i beduini sperano di poter tornare nella loro terra madre nel Negev. Se questo non fosse possibile, la loro richiesta è di continuare a far parte dei piani temporanei e restare nel luogo dove ormai vivono da tempo. La minaccia cui devono far fronte rispecchia– benché in scala minore – il destino della gran parte dei rifugiati palestinesi che più di 60 anni furono forzatamente esiliati da centinaia di borghi, villaggi e città prima per rifugiarsi in campi sovraffollati. Questa fotografia rappresenta due giovani beduini della comunità di Khan al-Ahmar, vicino Gerusalemme. – 2013 UNRWA foto Alaa Ghosheh

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Nel maggio 2007, scoppiano gli scontri tra le Forze Armate libanesi e il gruppo radicale Fatah Al-Islam, infiltrato nel campo rifugiati di Nahr elBared, nel nord del Libano, che usa come base per sferrare attacchi all’esercito libanese. Il campo viene completamente raso al suolo e i suoi 27.000 abitanti sfollati. – 2007 UNRWA fotografo sconosciuto

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Nonostante la ricostruzione del campo di Nahr el-Bared iniziata nel 2009, il progetto più grande mai realizzato finora da UNRWA, ancora oggi la maggior parte della comunità è indifesa e continua ad essere fortemente dipendente dall’assistenza di UNRWA. Le prime fasi della ricostruzione – per permettere ai rifugiati di tornare nelle proprie case – sono in corso. La foto mostra una coppia in una delle abitazioni temporanee costruite nelle aree adiacenti al campo distrutto, nell’attesa che la ricostruzione sia completata. – 2010 UNRWA foto Isabel de la Cruz

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Nell’Agosto 2005, Israele si ritira unilateralmente dalla Striscia di Gaza. A seguito della vittoria di Hamas alle elezioni legislative del 2006, Israele impone il blocco di terra nel giugno del 2007. Gli anni successivi sono stati caratterizzati da un incremento della tensione e della violenza: incluso il lancio di razzi da Gaza verso Israele, il rapimento del caporale israeliano Gilad Shalit e attacchi israeliani verso Gaza. Nel Dicembre 2008, Israele lancia un’operazione militare su larga scala nella Striscia di Gaza di 3 settimane, descritta come “l’attacco più devastante” nella storia dell’occupazione dei territori palestinesi. Altri otto giorni di violenza nel Novembre 2011 hanno visto razzi partire dalla Striscia di Gaza verso Israele, che a sua volta ha colpito Gaza ripetutamente. – 2009 foto cortesia di AFP

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La disastrosa situazione di Gaza, causata dal blocco imposto da Israele e dalla distruzione da parte egiziana dei tunnel dentro Gaza, è diventata crisi umanitaria durante i 50 giorni di guerra dell’estate 2014. Al culmine dell’emergenza, più di 290.000 persone sfollate hanno trovato rifugio nei centri di accoglienza temporanea di UNRWA predisposti per l’emergenza. Come risultato delle ostilità, il numero di palestinesi dipendenti da UNRWA per il cibo è cresciuto da 80.000 nel 2000 a più di 800.000 oggi. Circa un milione di bambini ha vissuto sofferenze incredibili, con una stima di 400.000 minori che hanno bisogno di assistenza psicologica. Se potessero avere un’esistenza ”normale” non ne avrebbero certamente bisogno! – 2014 UNRWA foto Shareef Sarhan

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UNRWA stima in più di 110.000 le abitazioni di rifugiati palestinesi rase al suolo durante la guerra dei 50 giorni nell’estate 2014, che ha provocato un livello di distruzione inestimabile e la demolizione in egual numero di infrastrutture pubbliche e attività commerciali e private, peggiorando la già grave situazione economica in cui versava la popolazione prima della guerra. Il collasso economico ha avuto un impatto immediato sulla disoccupazione, portando la percentuale di disoccupati al 50%. Distruzione e sfollamento, insieme a disoccupazione, assenza di libertà di movimento e lentezza della ricostruzione hanno portato il Commissario Generale dell’UNRWA Krähenbϋhl a definire la situazione “una bomba a orologeria”. Ma va? … Chi lo avrebbe mai detto … – 2014 UNRWA foto Shareef Sarhan

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Nel frattempo, ”ciliegina sulla torta”,  è iniziata anche la guerra civile in Siria. Nel Marzo 2011, manifestazioni popolari accendono la scintilla di quello che diverrà il conflitto armato in Siria. Tutti e 12 i campi di rifugiati palestinesi e i 560.000 palestinesi regolarmente registrati nel Paese vengono duramente colpiti. Dall’agosto 2013, più della metà dei rifugiati palestinesi in Siria è sfollata; molti, tra cui anche alcuni membri del personale dell’UNRWA, vengono feriti o perdono la vita. Tutti hanno bisogno di assistenza da parte dell’UNRWA. Questa è una fotografia di Aya (la bimba con il vestito rosso) e della sua famiglia nel soggiorno della loro casa a Jaramana vicino a Damasco. Aya (5 anni) e sua sorella Maram sono state ferite da colpi di mortaio mentre tornavano a casa da scuola nell’Ottobre 2013. Aya è dilaniata dalle ferite fisiche e psicologiche che non solo hanno cambiato la vita della sua famiglia, ma raccontano la storia vulnerabilità estrema di numerose famiglie che come la sua sono colpite dal conflitto in Siria. – 2014 UNRWA foto Carole Alfarah

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Molti rifugiati in Siria e in tutta la regione, tra Libano e Giordania, vivono in rifugi collettivi temporanei da più di due anni. Per molti di loro questo è il secondo o il terzo sfollamento dal 1948. Il Commissario generale dell’UNRWA, Krähenbϋhl, ha detto che “appartengono ad una comunità che è stata destabilizzata storicamente, e che aspetta ancora una soluzione definitiva che ponga fine alla loro sofferenza”. Questa fotografia mostra dei rifugiati palestinesi che innalzano le tende in una struttura dell’UNRWA vicino a Damasco durante la tempesta Huda, che ha allagato tutta la regione nel Gennaio 2015. – 2014 UNRWA foto Taghrid Mohammad

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Il campo rifugiati di Yarmouk, a sud di Damasco, è stato una casa per più di 170.000 rifugiati palestinesi. Dopo che i gruppi armati hanno raggiunto l’area, è iniziato l’assedio dall’esercito siriano. Dall’estate del 2013, 18.000 civili, perlopiù rifugiati palestinesi inclusi 3.500 bambini, sono imprigionati nel quartiere in condizioni disumane, senza cibo, acqua e medicine, tagliati fuori dal mondo. Questa immagine, scattata da UNRWA nel febbraio 2014, mostra un fiume di persone disperate, in fila per le razioni di cibo tra le case distrutte, dopo mesi di privazioni e isolamento. Yarmouk non solo è diventato il simbolo della profonda sofferenza dei rifugiati palestinesi in Siria, ma rappresenta anche i continui sfollamenti dei rifugiati palestinesi che proseguono da più di 60 anni. A seguito dell’infiltrazione a Yarmouk il 1 Aprile 2015 di un gruppo armato conosciuto per la sua brutalità e dell’intensificarsi degli scontri, il Segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha definito Yarmouk “l’ultimo girone dell’inferno”. – 2014 foto UNRWA

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La cartina che segue è quella che ”sintetizza” al meglio quanto sopra riportato:

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Cosa devono ancora aspettarsi queste creature? Che differenza c’è tra i palestinesi di oggi … ed i pellerossa indiani di allora?

Mah …

Alla prossima

 

Elena

 

http://www.unrwa.org

Fonte: Sole 24 ore