Archivi tag: in grado

Case Farmaceutiche, Europa, vaccini, volano stracci. E se noi invece …

Si litiga tra case farmaceutiche ed Europa sui vaccini …
Da oltre un mese von der Leyen e la sua Commissione sono reduci da giornate che hanno fatto vacillare l’esecutivo comunitario, travolto da polemiche su una gestione della campagna giudicata maldestra e più lenta del dovuto. Si sa quando le cosa vanno male, la critica è la cosa più semplice da fare. Ma ciò non toglie che l’Europa abbia investito fior di quattrini nella ricerca ed avrebbe piacere di vedersi ritornare questi investimenti in vaccini per la popolazione. Per noialtri, tanto per intenderci.

Ciò non toglie però che in Europa si sia in ritardo rispetto ai vaccini fatti sia negli Usa che Regno Unito. Gli americani hanno la loro casa produttrice e si aggiustano. Noi? Invece?
Questi ritardi ovviamente scatenano malumori anti-governativi pure fra ‘’modelli di efficienza’’ come la Germania, che però, ha sul suo suolo industrie che producono, quindi per la Merkel assicurare che i vaccini ci saranno per tutti entro settembre è più facile che per chi non ha produzione sul territorio.
Il sospetto è che le case farmaceutiche esportino dove il vaccino viene pagato di più e l’Europa, per ritorsione, minaccia blocchi di esportazioni dal suo territorio.
Eric Mamer, uno dei portavoce della Commissione europea, ha affermato che l’obiettivo a Bruxelles non è quello di ostacolare le esportazioni di vaccino contro il Coronavirus, ma di costringere i produttori come AstraZeneca a fornire una chiara contabilità dei loro livelli di produzione e dei piani di consegna: “Vorrei solo sottolineare che la parola importante qui è trasparenza”. Non si tratta di bloccare. Si tratta di sapere cosa esportano o esporteranno le società in mercati al di fuori dell’Unione Europea”.
Costoro non riescono a produrre la valanga di vaccini di cui abbiamo bisogno e devono fare investimenti per aumentare la produzione. Quindi? Quindi esportano i vaccini dove vengono pagati di più e con tali soldi contano di aumentare la produzione? Mah … va a sapere. Ma noi … intanto? Che si fa?
Per memoria vorrei ricordare che:
La BioNtech è tedesca
La Pfizer è americana
Moderna è americana
AstraZeneca è una società inglese-svedese
E noi? Noi cuciniamo … chissà il Covid19 lo potremmo fare al ”forno con le patate”!
Ma al di là dell’ironia, la situazione è drammatica davvero. Praticamente l’intero Pianeta è bloccato dalla pandemia, i vaccini sono stati trovati ma le case farmaceutiche non riescono a produrne abbastanza per tutti in tempo utile. Ora, per un attimo, pensate se le Case farmaceutiche rinunciassero al brevetto dei loro vaccini e lasciassero che venissero prodotti da qualsiasi laboratorio in grado di farlo. Moltiplicheremmo all’ennesima potenza la produzione e, in un amen, ci sarebbe vaccino per tutti! Comprese le pooplazioni che, se le cosa vanno come ora, non saranno mai vaccinate. Ovviamente poi gli Stati rimborseranno le spese alle aziende, magari con un prezzo ”politico” ma intanto ci leveremo da questa situazione allucinante.
In fondo si tratta di una situazione particolare … si tratta di non fare morire gli abitanti del pianeta e di rilanciare un’ economia che sta morendo altrettanto.
In fondo Sabin, il suo vaccino contro la poliomelite lo ha distributo gratuitamente per tutti … non sarebbe poi impossibile … qualcuno mi ascolta? Ho tanta paura di no …

Alla prossima

Elena

Tasse e regole alla ”Rete” … finalmente!

Come è strano il mondo … 

tutti ci rendiamo conto che di lavoro ce n’è poco,  tutti ci rendiamo conto che nel ”calderone delle tasse” mancano quindi i soldi di chi il lavoro non lo ha, ma ci rendiamo anche conto che mancano i soldi di aziende come Google, Amazon, Fb, Twitter, YouTube, Apple e via discorrendo. Costoro non pagano le tasse dove fanno reddito ma solo dove scelgono di pagarle! E non ci vuole molto a capire che scelgono di farlo dove è loro più conveniente no? Quindi ricapitolando,  guadagnano in tutto il mondo, ma pagano le tasse solo in un posto, un tantino ingiusto non trovate? 

Costoro guadagnano come Stati interi … ma in proporzione pagano come uno che ha la ”pensione sociale” … vi sembra giusto? 🙁

Eppure … a mettersi di traverso per farli finalmente pagare sono incredibilmente tanti.

Prima di tutto gli stessi proprietari delle aziende in oggetto, ma anche e soprattutto tutti quelli che, grazie alla ‘’rete’’, hanno fatto la loro fortuna. Vediamo un pò di chiarire che cosa stanno cercando di fare per far tornare in circolo, a beneficio di tutti, denari provenienti da una giusta tassazione.

Oggi sappiamo che chi opera in ‘’rete’’ gode di una libertà illimitata ma che soprattutto non paga tasse dove fa reddito ma solo dove decide di mettere la sede fiscale.  Questa mancanza di regole deriva dal fatto che sono aziende ‘’nuovissime’ che, nel giro di pochissimo tempo, sono diventate delle vere e proprie fontane di denaro, per chi li ha inventate ovviamente, perché di lavoro effettivo non è che ne diano poi tanto in proporzione alle loro dimensioni e a quello che guadagnano. Costoro penalizzano tra l’altro tutte le aziende legate al ‘’vecchio sistema’’. Per esempio oggi tutti compriamo su ‘’Amazon’’,  il che significa che non solo negozi tradizionali, ma anche i grandi magazzini sono  penalizzati da questo nuovo sistema di ‘’acquisti’’. 

Se pensiamo che un tempo il ‘’vecchio negozio’’ dava da mangiare ad una famiglia di magari 5 persone, oggi i supermercati danno da ‘’mangiare’’ a molti meno. Nel negozio ci lavoravano padre, madre, figli … nel supermercato ci lavora invece magari solo un membro di una famiglia, ad Amazon ancora di meno. Al di la di questo fatto, la cosa che infastidisce di più, non è solo la mancanza progressiva di lavoro per noialtri, è che costoro non pagano proprio le tasse che dovrebbero invece pagare.

Oggi si vogliono finalmente dare delle regole. Sia sulla diffusione di contenuti online sia delle tasse alle vendite dei giganti dell’e-commerce.  Dopo anni di’ ’bengodi’’  e dei ‘’pionieri del tech’’, i regolatori internazionali stanno fissando qualche paletto in più nel far west dell’industria tecnologica globale. Non si parla solo della maxi-sanzioni comminate dalla Commissione europea a Google (2,4 miliardi di euro) o del suo pressing a Mark Zuckeberg e Facebook, ma di norme rette su un doppio presupposto: uniformare le leggi delle imprese della new economy a quelle delle aziende “normali” o creare parametri inediti, calibrati su modelli di business che sfuggono alle vecchie logiche commerciali. Ormai le aziende del mondo digitale sono entrate in una fase di maturità che fa cadere la scusa della ‘’l’eccezionalità’’ rivendicata quando si trattava di respirare sotto al peso schiacciante della old economy. Quindi devono operare ed essere tassate con regole simili a chi concentra il suo business nel mondo offline, sempre che esista ancora questa distinzione …

Lunedì 2 luglio l’Europarlamento, riunito in plenaria a Strasburgo, voterà la direttiva proposta dalla Commissione Europea nel 2016 per la creazione di un ‘’Digital single market’’.  Il mercato unico digitale in Europa. Il testo è appena uscito dal vaglio della Commissione giuridica dell’ Eurocamera con due modifiche di peso sul fronte dei diritti d’autore. A scatenare le polemiche sono soprattutto gli articoli 11 e 13 del testo. L’articolo 11 prevede l’implementazione di quella che è stata ribattezzata subito ‘’link tax’’, la tassa sui link. La regola imporrebbe a colossi aziendali come Google o Facebook di pagare gli editori ogni volta che linkano un articolo sulle proprie piattaforme. Come?

Rendendo obbligatoria la richiesta di una licenza per pubblicare i cosiddetti  ‘’snippet’’: le anticipazioni dell’articolo dove si possono leggere titolo e prime righe, utilizzati per catturare i navigatori prima di rimandare al contenuto originale. Un “ritaglio” che finisce, spesso, per sostituirsi alla fruizione integrale dei contenuti, soprattutto quando i lettori si trovano di fronte alla necessità di pagare. L’articolo 13 tocca da vicino gli utenti, perché richiede a piattaforme di largo utilizzo come YouTube o Instagram di installare dei filtri (upload filter) che che impediscano ai navigatori di caricare materiale protetto da copyright. Fino ad oggi, social network e aziende tech non erano tenute a vigilare sulla violazione dei diritti d’autore sulle proprie piattaforme. Né, a quanto pare, sono intenzionate a farlo .

Secondo il Financial Times, Google avrebbe già scritto alle aziende beneficiarie della Google digital news initiative (un programma che offre finanziamenti alle iniziative editoriali più innovative) di fare pressing sugli europarlamentari perché blocchino le modifiche alla direttiva. La Commissione è sempre riuscita a tenere testa al lobbying del colosso californiano, ma l’Europarlamento potrebbe essere più vulnerabile alle sue ingerenze. Oltretutto l’argomento della ‘’tassa sui link’’,  tocca anche le corde degli attivisti per il diritto alla Rete libera, rappresentati all’ Eurocamera da una schiera abbastanza trasversale di forze politiche. Incluso il Movimento cinque stelle. Il vicepremier Luigi Di Maio si è schierato apertamente contro la direttiva, accusata di ‘’mettere il bavaglio alla Rete’’.  Se il testo dovesse restare come è stato presentato, ha aggiunto il Ministro dell’Economia, nonché ministro dello Sviluppo Economico, nonché Vice Primo Ministro, nonché  precedentemente disoccupato Luigi Di Maio, il governo ‘’sarebbe pronto a non recepirla’’ e a non accogliere le sue linee guida nel diritto italiano! 

L’Europa, che è quella che più di tutti si rende conto della realtà delle cose, non dimentichiamo che i ‘’diritti’’ sono nati in Europa, che il Welfare è nato in Europa, che la sanità pubblica è nata in Europa, che insomma, noialtri siamo i più evoluti del pianeta,  si è intestata alcune delle battaglie più dirompenti contro lo strapotere, o l’assenza di regole, delle aziende tecnologiche. 

L ’Europa ha segnato una  svolta con i 99 articoli del GDPR (General Data Protection Regulation) un regolamento generale sulla protezione dei dati entrato in vigore nel 2016 e divenuto applicativo dallo scorso 25 maggio. Tra i punti caldi del testo ci sono l’obbligo di richiedere il consenso in maniera chiara e comprensibile (articolo 7), la portabilità dei dati (articolo 20), la notifica di violazione di dati entro 72 ore (articolo 33), la designazione di un ‘’responsabile protezione dati’’ che faccia da vigilante sul rispetto delle regole (articolo 37). Le violazioni sono sanzionate con multe che possono arrivare fino a massimi di 20 milioni di euro o il 4% del fatturato annuale (quando è superiore a 20 milioni di euro). Le misure hanno fatto scattare, a tempo di record, i primi ricorsi:  nel giorno stesso di debutto del GDPR un’associazione no-profit  ha sporto quattro reclami accusando di ‘’consenso forzato’’ Google, Facebook e aziende affiliate come Whatsapp e Instagram.

Un secondo pilastro normativo, e fiscale, dovrebbe arrivare con un progetto tanto pubblicizzato quanto indefinito: la cosiddetta web tax, la tassa sul web. Lo sbocco finale della legge (tecnicamente una direttiva: un atto che va recepito dai singoli paesi e impone di raggiungere un target) è di consentire agli Stati membri di tassare i profitti generati sulla propria giurisdizione, a prescindere dalla collocazione fisica dell’azienda. La Commissione europea ha avanzato lo scorso 21 marzo due diverse proposte: una proposta ad interim per tassare al 3% i ricavi delle aziende digitali che fatturano almeno 50 milioni nel perimetro dell’Unione Europea; una proposta di lungo termine, successiva, per tassare gli utili generati in Europa da aziende digitali che raggiungono nel corso di un anno almeno 7 milioni di ricavi l’anno in un dato paese, 100mila ‘’utenti’’’ o 3mila contratti di business. L’argomento ha già provocato diverse spaccature su scala europea, complicando le speranze del commissario Pierre Moscovici di portare a casa l’approvazione di Europarlamento e Consiglio in tempi accettabili.

Se pur con fatica qualche cosa di ‘’muove’’ … e non solo contro i ‘’migranti’’, che paiono essere l’unico problema mondiale, come se  lavoro e tasse fossero invece cose di poca importanza.  I novelli imperatori della ‘’rete’’ fanno sparire miliardi di tasse dal circuito, soldi che finiscono in una sorta di ‘’buco nero’’ inutile alla collettività, mentre sarebbe un bene che questo denaro, grazie a giuste tasse,  tornasse in circolazione a beneficio di tutti quanti. 

Siamo in pochi, oggi come oggi a lavorare … in compenso tra quei pochi c’è gente come Zukerberg, che  guadagna da solo come uno Stato, quindi è giusto che gente come lui paghi le tasse in proporzione.  

Si chiama ‘’ridistribuzione del reddito’’ Signori … e deve essere fatta al più presto se non vogliamo che il mondo sia diviso in:  quattro gatti da una parte che vivono come nababbi ed una marea di individui dall’altra che fatica ad arrivare a fine mese e a cui vengano offerti solo mestieri degradanti, mal pagati e che paiono più una schiavitù piuttosto che un lavoro dignitoso. 

Caro Di Maio, capisco che Lei alla ‘’rete’’ ci sia ‘’affezionato’’ e che grazie alla rete sia stato ‘’miracolato’’ … ma si rassegni è necessario che a questa rete, tanto utile per prendere ‘’pesci’’, vengano messi seri ‘’paletti’’ e soprattutto è necessario far pagare a chi con essa guadagna fior di quattrini altrettante tasse. Altrimenti … dove vuoLe trovarli i denari per il ‘’reddito di cittadinanza’’? Tassando noialtri poveri cristi? Naaaa …

Alla prossima

Elena