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Mafia e Stato – ”Faccia da Mostro” e la ”Guerrigliera” …

La “guerrigliera” che accompagnava agli incontri, con uomini della ’ndrangheta, l’ex poliziotto Giovanni Aiello, meglio conosciuto come “Faccia da mostro”, è una napoletana che ha fatto parte di Gladio. Seguendo la storia di quest’uomo dal volto sfregiato e dal passato inesplicabile si è arrivati a svelare l’identità di una donna misteriosa che oggi ha 64 anni e si chiama Virginia Gargano.
Il boss calabrese Nino Lo Giudice ha detto ai magistrati che “Faccia da mostro” andava ai suoi incontri a bordo di un fuoristrada: «E veniva sempre con una donna, una sua… lui diceva che era una sua amica, ma comunque faceva parte pure dei servizi segreti e la chiamava Antonella […]. Antonella parlava che era un’azionista, era una guerrigliera, che avevano fatto addestramento in Sardegna ad Alghero, nei pressi di Alghero, che era dei servizi segreti». Sulla base delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, la procura antimafia di Catania ha avviato un’indagine su di lei, nell’ambito della stessa inchiesta per concorso esterno alla mafia che ha visto indagato Giovanni Aiello. La donna è stata intercettata dai carabinieri fra il 2013 e il 2014. La sua foto era stata inserita dagli investigatori in un fascicolo nell’ambito di un’attività di analisi compiuta dal Servizio centrale antiterrorismo della polizia di Stato e mostrata ai collaboratori di giustizia. E così è emerso, incrociando i dati, che Virginia Gargano rientrava in un elenco di probabili elementi appartenenti alla struttura Stay Behind. In poche parole, Gladio.

Libro di Lirio Abbate assolutamente da leggere.

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Una delle poche donne a far parte della struttura di gladiatori. Finora il suo ruolo è rimasto segreto. La sua identità coperta. Una vita parallela ancora tutta da scoprire, come quella di “Faccia da mostro”, la cui storia è intrecciata con delitti e stragi che hanno modificato il percorso politico e sociale del nostro Paese. Ci sono voluti quasi trent’anni per arrivare a scoprire la sua identità. E scavando nel suo passato emerge come gli inquirenti della Procura nazionale antimafia abbiano dovuto lottare contro «le cose indicibili» che hanno protetto quest’uomo che ha fatto da cerniera fra Cosa nostra, ’ndrangheta e ambienti istituzionali deviati. La stessa cosa vale per le donne. È bene usare il plurale. Perché in più casi le indagini accertano il coinvolgimento di figure femminili nei delitti e nelle stragi, da quella di Capaci (tracce di Dna femminile sono state rilevate su reperti trovati vicino al cratere dell’autostrada) alle bombe di Roma, Milano e Firenze.

Virginia Gargano è bionda, fisico statuario, viso allungato, labbra sottili. L’accento napoletano. Affiliata a Gladio. Ufficialmente disoccupata, possiede un paio di immobili nei quartieri spagnoli a Napoli, che ha dato in affitto e da cui ricava reddito. Ha vissuto a Caserta per trasferirsi a Reggio Calabria. Nel capoluogo calabrese è stata legata ad un uomo che nel 2018 è stato coinvolto in un’inchiesta su ’ndrangheta, riciclaggio e intestazione fittizia di beni. Lui è il cognato di un imprenditore reggino ritenuto collegato al clan Tegano. Nell’estate del 2013 i carabinieri registrano una conversazione tra la coppia, da cui traspare il carattere forte e deciso di Gargano. Una donna determinata. Una madre di famiglia devota ai figli, ma con un passato ingombrante come quello dell’appartenenza a Gladio, e quindi del suo reclutamento nell’organizzazione, che la cerchia delle nuove amicizie create nella città in cui si è trasferita probabilmente non conosce. Apparentemente si mostra come una casalinga, ma di fatto è un personaggio misterioso e carico di sorprese. Come, del resto, il suo ex marito. Nel 1981 si era sposata con un ex campione di nuoto, nonché ex gladiatore, anche lui della lista di Stay Behind e nipote – a suo dire – dell’ex capo della polizia Vincenzo Parisi.

Gli investigatori catanesi hanno cercato le connessioni fra Virginia Gargano e Giovanni Aiello e a parte le dichiarazioni di ex mafiosi, non sembrano esserci stati fra il 2013 e il 2014 punti di contatto fra i due. Su questa “guerriera” è puntata adesso l’attenzione degli investigatori fiorentini che continuano ad indagare sulle stragi del 1993.

La vicenda di questa donna scorre parallelamente a quella di “Faccia da mostro”: un uomo sfigurato, il volto deturpato dalla cicatrice, il look sdrucito, mai appariscente, l’aria un po’ dimessa, trasandata e disincantata di chi sa che vita e morte alla fine sono solo un grosso gioco. Uno stile alla Charles Bronson, protagonista de “Il giustiziere della notte”. Per trent’anni “Faccia da mostro” è sempre stato un passo avanti agli altri, sospettoso e sfuggente. Molti ne parlano, ma nessuno lo afferra. Si è lasciato dietro una scia di sangue: dal 1985 al 1989 è associato all’omicidio dei poliziotti Ninni Cassarà e Roberto Antiochia; quello dell’undicenne Claudio Domino; dell’agente Natale Mondo; del fallito attentato a Giovanni Falcone all’Addaura; dell’agguato all’agente Nino Agostino e a sua moglie Ida Castelluccio. E nel nuovo millennio ai collegamenti con uomini della ’ndrangheta. Fatti scioccanti che hanno segnato la Storia d’Italia. Ad accomunare questi delitti non c’è solo l’uomo dal volto sfregiato, c’è pure una lingua di asfalto crepato stretta tra le case del quartiere dell’Acquasanta, ai piedi di Monte Pellegrino e il mare del golfo di Palermo: è vicolo Pipitone. È il regno dei boss Galatolo e Madonia dove i mafiosi, anche quelli latitanti, si riunivano per i loro summit, dove uccidevano i loro nemici o traditori, da dove sono partiti i gruppi di fuoco, compresi quelli che hanno colpito il prefetto Dalla Chiesa, il giudice Chinnici, il commissario Cassarà e quelli che hanno piazzato la bomba all’Addaura davanti alla casa di Falcone e dove si incontravano uomini delle forze dell’ordine corrotti con i Galatolo e i Madonia. Una terra di mezzo.

I collaboratori di giustizia sostengono che “Faccia da mostro” era di casa in vicolo Pipitone. Ma può essere solo e soltanto “associato” a queste tragedie perché a noi è giunta appena l’eco della sua presenza, qualche riscontro nei verbali della polizia e negli interrogatori dei pentiti. Fugaci apparizioni, avvistamenti, tracce del suo passaggio. Ci sono però mafiosi e testimoni che collocano l’uomo dal volto sfregiato in ognuno di questi delitti. E così dopo tre decenni il suo nome salta fuori: Giovanni Aiello Pantaleone, classe 1946. Arruolato in polizia quando aveva diciotto anni, congedato il 12 maggio 1977, a 31 anni, perché dichiarato non idoneo al servizio militare, per gli esiti di una ferita da arma da fuoco alla mandibola destra, sfociati in “turbe nevrotiche post-traumatiche”. Sposato e separato con un’ex giudice di pace. Ha simpatie politiche di estrema destra; è amico del terrorista Pierluigi Concutelli, di cui condivide l’ideologia. E il suo tenore di vita è stato al di sopra delle proprie possibilità economiche, rispetto alla pensione che percepiva.

Faccia da Mostro - trovato morto nel 2017 su una piaggia di Catanzaro.

Faccia da Mostro – trovato morto nel 2017 su una piaggia di Catanzaro.


Negli anni Ottanta, almeno in Cosa nostra, lo cercavano tutti. Negli anni Novanta scompare e non lo cerca più nessuno. Negli anni Duemila si fa fatica a riannodare i fili dei decenni precedenti. Verrebbe da dire che è stato aiutato in passato da chi ha condotto male le indagini o da chi le ha volute condurre in malo modo, depistando.

Per tutti gli anni Novanta, praticamente di lui non si hanno più notizie. È come se il suo compito fosse concluso, come se fosse stato messo “a riposo”. E così è scomparso dai radar, vive solo nei ricordi di chi ha sofferto per causa sua. Vive di sicuro nel cuore e nei pensieri di Vincenzo Agostino, l’uomo dalla lunga barba bianca, il padre di Nino, assassinato perché aveva scoperto il collegamento tra “Faccia da mostro”, il poliziotto Bruno Contrada e i mafiosi Nino Madonia e Gaetano Scotto. Indagando sull’omicidio del poliziotto, il magistrato della Procura nazionale antimafia Gianfranco Donadio arriva a scoprire l’identità dello “sfregiato”. Per il resto l’Italia l’ha ormai dimenticato. Sembra un relitto del passato. Una scoria radioattiva di un’altra era. Nessuno lo cerca più. Non tutti danno credito all’esistenza stessa di questo uomo misterioso. E invece è proprio allora che lo trovano. «Aiello non sarebbe stato mai individuato come quel personaggio estremamente pericoloso appartenente ai servizi segreti [capace] di rapporti criminali con le organizzazioni mafiose, come poi sarà descritto da alcuni collaboratori, se avesse avuto un aspetto fisico direi ordinario, più comune ed anonimo, invece le sue sembianze non sono proprio ordinarie, potremmo dire così, in quanto sia per la struttura del viso, tutt’altro che aggraziata potremmo dire, sia per una cicatrice su una guancia, una evidente deformazione della pelle, la sua immagine si presta ad essere notata e ricordata, ed è un’immagine che poi è associata a quanto si dice sul suo conto, la sua pericolosità, finisce per essere descritta in termini piuttosto impressionanti, è noto il soprannome Faccia di Mostro», dicono i pm Umberto De Giglio e Domenico Gozzo nella requisitoria per l’omicidio di Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio che ha portato nelle scorse settimane alla condanna all’ergastolo di Nino Madonia.

Il 21 agosto 2017 il misterioso ex poliziotto muore sulla spiaggia di Montauro in provincia di Catanzaro. Il suo decesso viene attribuito a cause naturali.
La morte si è portata via Giovanni Aiello prima che lo Stato potesse chiarire al di là di ogni dubbio le sue eventuali responsabilità e il suo coinvolgimento in molti, troppi fatti di sangue. Ma non è mai troppo tardi per cercare la verità. Molti dei protagonisti di questa lunga storia possono ancora parlare. E molti personaggi che sono rimasti nell’ombra possono essere adesso illuminati. Chi è stato “coperto” venga adesso svelato.
Lirio Abbate – 3 maggio 2021
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Interessante non trovate?

Alla prossima Elena

Rosemary …

Ci siamo trasferiti in Inghilterra nel luglio del 1991, Luisa aveva un anno Alfredo 13.
Mio figlio non era contento, lasciava il padre, la nonna, i compagni di scuola, gli amici per un mondo completamente nuovo. Si è ritrovato, dall’oggi al domani, durante le vacanze estive in un College a Boars Hill per una full immersion di inglese, mente noi traslocavamo.
Lo abbiamo fatto per lui in modo che l’impatto con una realtà nuova, a settembre, fosse un pò mitigato almeno dalla maggiore conoscenza della lingua ma so che era infelice. Alfredo, che non mangiava nemmeno le melanzane in quanto le trovava troppo piccanti, si è ritrovato in un posto dove la mensa era gestita da messicane che cucinavano, indovina un pò, alla messicana!
Mi faceva male al cuore saperlo infelice, ma non c’era niente da fare, i figli stanno con la mamma, non avrei potuto vivere senza di lui. Per chiarire, Alfredo è figlio del mio primo matrimonio.
Pensavamo di fargli ripetere l’anno, ma gli accordi presi con il preside della Scuola Europea di Culham, il mitico Mr. Tom Høyem, furono quelli di fare un tentativo.
Alfredo avrebbe dovuto dominare, entro dicembre, un livello di inglese tale da permettergli di seguire le lezioni con profitto.
A dicembre era in grado di seguire economia e geografia in inglese senza troppi problemi. Non ha mai dovuto ripetere un anno. Era ed è ”tosto” il mio bambino.
La Scuola Europea aveva ‘’sezioni’’ madrelingua e lui era era, ovviamente, nella sezione italiana ma, materie veicolari come Geografia ed economia, oltre ovviamente allo sport e a tutte le interazioni con compagni, professori e personale scolastico erano fatti nella lingua ”veicolare”, quella cioè che ospitava la Scuola Europea (°), quindi in questo caso, l’inglese. Tutte le lingue studiate erano con insegnanti madrelingua.
Le sezioni all’epoca erano: inglese, tedesca, olandese, francese, italiana, spagnola, greca. Ma i ragazzi erano molti di più, c’erano anche russi ed egiziani, un meraviglioso melting-pot in cui mio figlio e anche un pò mia figlia hanno avuto la fortuna di crescere. Se si vuole fare l’Europa bisognerebbe partire dalle scuole, ma non divaghiamo.
Il primo paese in cui abbiamo vissuto era Little Milton nell’Oxfordishire ad una decina di chilometri da Oxford.
La scelta era strategica, Little Milton è vicino all’imbocco della M40, l’autostrada che porta a Londra, dove lavorava Antonio, ed era non troppo lontana da Chulham, la scuola dei ragazzi.
Quindi io la mattina accompagnavo e il pomeriggio recuperavo mio figlio a scuola. Non nego di aver avuto qualche difficoltà i primi giorni, guidare una vettura con il volante a sinistra e stare a sinistra è un pò destabilizzante all’inizio, poi si prende ‘’la mano’’ e si va.
Il mio problema era la lingua … l’inglese che avevo imparato era una ‘’miseria’’ su tutta la linea e nel villaggio la possibilità di parlare non era poi così scontata.
A Little Milton non c’erano negozi, c’era solo il Post Office, gestito da una coppia di sorelle, avanti negli anni e secche come delle canne da pesca, che vendevano un pò di prodotti del loro orto. Un giorno avevo bisogno di una testa d’aglio, Alfredo era a scuola e quindi ho messo Luisa sul passeggino e sono andata a comprare ‘sta testa d’aglio, peccato che non sapessi come caspita si chiamasse in inglese.
Io non sono una che si ‘’prepara’’, vado a ”naso”, avrei ben potuto leggere sul dizionario no? Macchè! Morale dopo aver faticato un bel pò per farmi capire dalle due sono tornata a casa con una cipolla!
Ma non importa ci avevo provato.
Quale fu il mio stupore un pomeriggio quando, dal giardino dei vicini, mi arriva una voce concitata, che fa la cronistoria di una partita di calcio in italiano!
Mi affaccio oltre la siepe e vedo un ragazzo che, sempre commentando, corre e tira calci ad un pallone! Lo chiamo ma scompare.
Incuriosita esco di casa e mi avvio verso la casa dei vicini: Hillview Cottage,.
In Inghilterra, specie nei paesi, le case hanno nomi invece che numeri. La nostra si chiamava Boundary House.
Morale della favola suono e mi apre una signora di una certa età. Provo a spiegarmi ma non ci capiamo, lei parla poco italiano e il mio inglese fa pena. Peccato.
Il giorno dopo suona il campanello, vado ad aprire e mi trovo davanti una bella signora sorridente. Rosemary! Entra ed inizia subito a parlare raccontandomi in pochi minuti quello che noi italiani non riusciamo a raccontare di noi stessi nemmeno dopo anni di amicizia.
E’ americana ma parla italiano benissimo perché è stata sposata per anni con un italiano, il conte Salvo Catolfi Salvoni. Mi racconta che è vissuta a Positano a Roma e ad Appiano Gentile. Mi dice che ieri a casa c’era solo sua madre, che vive in America ma che è in visita da lei e che quello che giocava a pallone è Alessandro, il più grande dei suoi tre figli.
E’ un fiume in piena … e dire che io sono una che parla tanto, eppure con lei dovevo inserirmi nelle pause.
Mi racconta che si è separata da poco e che ha deciso di tornare in un paese dove si parla la sua di lingua. Allegra la secondogenita vive con lei e va alla scuola Europea.
Bene! Iniziamo subito a fare i turni per portare e prendere i ragazzi a scuola.
Inutile dire che è stata la mia prima insegnante anche se alla fine, finivamo con il raccontarci di tutto di più in italiano, perché facevamo prima.
Rosemary era proprio americana, veniva a casa mia, apriva il frigo, si faceva il caffè, buttava via le mele che, secondo lei, erano andate. Io da brava torinese vissuta fino ad allora nel mio minuscolo giardinetto non ero abituata a questo modo di fare e, se devo essere onesta, all’inizio lo subivo un pò.
Entrambe avevamo l’hobby del restauro dei mobili e dalle nostre case uscivano in continuazione rumori di piallatrici, trapani e seppiatrici. Noi si rideva su questo fatto, avevamo portato lo scompiglio nel tranquillo Paese.
Rosemary si stupiva del fatto che io fossi così ‘’handyman’’, secondo lei le italiane non lo erano di solito. Ma io sono ‘’insolita’’. Insolita come lo era Rosemary che aveva si un ‘’cuore grande come una casa’’ ma anche un carattere abbastanza difficile con cui convivere.
Devo dire che all’epoca aveva una situazione affettiva veramente instabile che le creava non pochi problemi. Anche se, come spesso le dicevo, l’uomo che voleva lei non lo avevano ancora creato e forse non lo avrebbero creato mai e che avebbe dovuto mettersi il cuore in pace.
Aveva delle aspettative molto alte, troppo forse. Ma … chi ero io per giudicare?
Rosemary aveva una manualità ed un gusto estetico eccezionali. Qualsiasi cosa facesse le veniva benissimo. Dai lavori di decoupage alle tecniche pittoriche sui muri, venivan fuori dei capolavori.
Era come diceva lei: ‘’talentuosa’’.
Non parliamo poi della cucina. Se qualcuno mi dice che gli americani non sanno cucinare, li blocco immediatamente, ricordando loro la cucina di Rosemary. Semplicemente perfetta! Era capace di cucinare di tutto di più ed era tutto buonissimo. Il cosciotto di agnello buono come quello fatto da Lei non l’ho mai più mangiato. Un’altro piatto ottimo è il rosbeef di Giovanna, ma non divaghiamo.
Io ed Antonio ci siamo sposati in Inghilterra e Rosemary è stata la nostra testimone di nozze. Non solo ha fatto da testimone ma ha anche organizzato nel suo giardino il rinfresco per tutti.
Come non amarla? Eppure, spesso e volentieri, becchettavamo come due zitelle. Avevo con lei un rapporto estremamente sincero e se dovevo mandarla a ‘’stendere’’ lo facevo senza problemi. A volte la trovavo infantile e poco responsabile. La sua pigrizia mi faceva impazzire.
Pian piano ho fatto amicizia con altre mamme della scuola e poi ci siamo trasferiti noi ad Oxford e lei a Long Wittenham. Poi lei ha iniziato a lavorare alla Oxford University Press ed io ad andare prima all’Oxford College of Further Education e poi all’Abingdon College per studiare l’inglese.
Ciò nonostante siamo sempre rimaste in contatto.
Siamo state tutte assieme: Giovanna, Lorella, Rosemary al matrimonio in Provenza di Caterina.
Siamo state tutte assieme a Vico Equense dalla Luciana.
Siamo state a Scario e a Napoi da Isa e Lorella.
Sono stata, assieme a Giovanna, ospite di Rosemary in America a casa della sua mamma e ci siamo divertite un sacco tutte e tre. Ci ha portate a zonzo un pò dappertutto e ci ha fatto conoscere una coppia di amici meravigliosi, Gary e Joan.
Quando si è ammalata di tumore al seno è venuta d’estate qui da noi in Francia al mare, perché noi abbiamo la piscina e lei si vergognava di andare in giro pelata come una zucca.
La chemio è una brutta bestia.
Ci siamo fatte tanta compagnia quell’anno. Poi la distanza, gli anni che aumentano, la malattia che è tornata ancora più aggressiva di prima ha fatto si che i nostri rapporti si allentassero sempre di più.
Abbiamo una chat tra amiche ma lei partecipava poco ultimamente, era stata in ospedale per una brutta polmonite bilaterale.
E’ morta il 25 ottobre! La notizia l’ha data Allegra su fb! Non ci potevo credere, per me Rosemary è e sempre sarà quella simpatica e vitale americana dalla risata squillante con un cuore grande come una casa!
Mi spiace cara di non averti potuta abbracciare ancora una volta, non averti potuto dire che ti volevo bene e che eri una gran bella persona.
Oggi più che mai mi ricordo quel che mi hai detto un giorno: ‘’Se non avessi fatta tanta terapia nella mia vita mi sarei offesa per quello che mi hai detto’’.
Vorrei non aver questo peso sul cuore, vorrei esser riuscita a farti capire che quel che detestavo a volte di te era l’aiuto che davi per scontato ma che, non sempre tutti, me compresa, erano disponibili a darti. Ma … ripeto: ”Chi sono io per poter giudicare? Mi odio per non essermi morsa la lingua in tempo”.
A questo mondo bisogna chiarire le cose e non lasciarle mai in sospeso, a costo di sembrar pedanti, oppure bisogna imparare a non dire sempre tutto quel che si pensa.
Ora è troppo tardi, te ne sei andata e io mi sento in colpa nei tuoi confronti. Ti ho voluto bene Rosemary e sono stata felice ed onorata di conoscerti.

Alla prossima

Elena

Con Rosemary a Sunapee New England

Con Rosemary al lago Sunapee New Hampshire.

(°) Le Scuole Europee sono istituti nati a partire dal 1953 al fine di offrire un insegnamento multilingue e multiculturale, dalla scuola dell’infanzia a quella secondaria, prioritariamente ai figli dei funzionari delle istituzioni comunitarie, garantendo a tutti gli alunni l’insegnamento della propria lingua materna.
Le Scuole Europee sono attualmente 13, distribuite in sei  Paesi dell’Unione: Belgio (Bruxelles I, II, III e IV, Mol), Germania (Francoforte, Karlsruhe, Monaco), Italia (Varese), Lussemburgo (Lussemburgo I e II), Olanda (Bergen), Spagna (Alicante).
Nelle Scuole Europee di Bruxelles I, II e IV, Francoforte, Lussemburgo II, Monaco e Varese funzionano sezioni linguistiche italiane.
All’epoca c’era anche la European School di Culham chiusa il 31 agosto del 2017. Peccato! 🙁