Archivi tag: Opere

Giuseppe Verdi, vita, opere, curiosità …

Oggi parleremo di Giuseppe Verdi 

Giuseppe Verdi è nato il 10 ottobre 1813 a ‘’Le Roncole’’, una piccola frazione della cittadina di Busseto, in provincia di Parma. 

Proveniente da una modesta famiglia di commercianti e proprietari di Osterie, fin da piccolo ha dimostrato un forte interesse per la musica. Con l’appoggio del padre e del maestro del paese, Pietro Baistrocchi, a soli sei anni il piccolo Giuseppe suona sia l’organo che il pianoforte.

Suona volentieri per intrattenere Giuseppa, la sua sorellina che, a causa di una meningite, è costretta su una sedia a rotelle.

Nel 1823 il padre iscrive il giovane Giuseppe al “ginnasio”, una scuola superiore per soli ragazzi gestita da don Pietro Seletti a Busseto, dove studia l’italiano, il latino, le scienze umane e la retorica. Verdi, rimane a scuola tutta la settimana ma la domenica percorre a piedi i 6 chilometri che lo separano da casa, sia per vedere i genitori sia per suonare l’organo durante la Messa.  

Nel giugno 1827, a 14 anni, si diploma presso il Ginnasio ed iniziò a dedicarsi esclusivamente alla musica.  

Dai 13 ai 18 anni scrive numerose sinfonie, pezzi di musica sacra e marce per banda. Si trasferisce a Milano, dove chiede di entrare al Conservatorio ma purtroppo non viene ritenuto adatto. Ecco la lettera di esclusione: 

‘’Il Signor Verdi, avrebbe bisogno di cambiare la posizione della mano. Avendo però già 18 anni la cosa risulta troppo difficile, quindi inutile perdere tempo. Per quanto riguarda le composizioni che il Verdi ha presentate come come sue, applicandosi con attenzione e pazienza potrà dirigere la propria fantasia e forse riuscire nella composizione. Comunque il conservatorio non può accoglierlo in quanto sono troppi i difetti che le sue mani hanno sulla tastiera’’.

Non potendo entrare in conservatorio diventa comunque allievo di un maestro della Scala ed assiste a varie opere rappresentate presso il famoso teatro  milanese. Nel 1834 torna a Busseto e viene assunto come maestro di musica nella scuola del Comune.

Nel frattempo scrive opere e le mette in musica.  Sposa Margherita,  la figlia di Antonio Barezzi, un negoziante amante della musica e direttore della locale società filarmonica che, convinto delle capacità del Verdi, lo aveva aiutato a proseguire gli studi.  

Nel marzo del 1837, Margherita dà alla luce la loro prima figlia, Virginia Maria Luigia, a cui seguì Icilio Romano l’11 luglio 1838 che però morirono entrambi in tenera età. 

Nel frattempo nel 1839 viene rappresentata alla Scala la sua prima opera, l’”Oberto, Conte di San Bonifacio”, che riscuote un discreto successo di pubblico. 

Poco dopo, nel 1840 anche la sua amata Margherita muore per una encefalite.

Il compositore depresso per la morte dei suoi cari aveva ricevuto il libretto per musicare il Nabucco, ma, troppo preso dal suo dolore,  non se ne interessò. Un giorno mentre metteva a posto la sua scrivania, il libretto del Nabucco cadde a terra e rimase aperto proprio sul coro degli ebrei. Verdi lo raccolse, lesse e decise di metterlo in musica. 

Ecco che nel 1942 presenta alla Scala l’opera lirica che decreterà il suo definitivo successo e l’inizio della sua folgorante carriera. 

 All’interno del Nabucco c’è uno dei cori più celebri della musica teatrale italiana:  il “Va pensiero”.  

Dopo cinquantasette repliche al teatro milanese, l’opera viene successivamente rappresentata anche a: Barcellona, Vienna, Parigi, Lisbona, Berlino, Amburgo, New York e Buenos Aires. Un successo enorme!

Alcuni personaggi, come Nabuccodonosor – Re di Babilonia noto per aver distrutto il tempio di Salomone causando la prima deportazione del popolo ebraico, rimangono impressi nel pubblico italiano.   

Non dobbiamo dimenticare che all’epoca l’Italia non esisteva ed era suddivisa in tanti staterelli di proprietà diverse, prussiani, austriaci, francesi. Quindi il popolo italiano si immedesima nella figura del popolo ebraico prigioniero. 

Il coro degli ebrei,  ‘’Va pensiero’’,  finì per divenire una sorta di inno contro l’occupante austriaco che, nel 1848 occupava il ‘’lombardo veneto. 

Il periodo in cui Giuseppe Verdi compone quest’opera è lo stesso dei movimenti indipendentisti italiani. Il popolo lombardo voleva liberarsi del giogo Austriaco. Famosa era la scritta sui muri:  VIVA V.E.R.D.I, che però in realtà volevano dire: ‘’Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia’’. 

Curiosità: Dovete sapere che in Italia ci fu una lunga diatriba per la scelta dell’Inno nazionale ed, ancora adesso, se ne discute. La scelta continua ad essere tra: ‘’Fratelli d’Italia’’ e il ‘’Coro degli ebrei del Nabucco’’. 

L’inno Fratelli d’Italia nacque nell’agosto del 1847, quando il suo autore, il giovane poeta e patriota genovese Goffredo Mameli, ebbe l’idea di un canto che manifestasse il tumulto di passioni che agitavano gli italiani. L’inno fu musicato dal maestro genovese Michele Novaro ed ebbe il battesimo ufficiale nel marzo 1848 con l’insurrezione di Milano contro gli austriaci. (Le 5 giornate di Milano)  La stessa musica accompagnò la guerra dei Piemontesi contro Roma nel 1870, quando i bersaglieri entrarono a Roma attraverso la Breccia di Porta Pia, ed il territorio del Papa divenne italiano. 

Nonostante il valore patriottico, l’inno fu criticato da molti sia per l’eccessiva retorica dei versi sia per la melodia. 

Come scelta dell’inno nazionale, alla formazione del Paese Italia nel 1861 rimase in vigore la Marcia Reale dei Savoia. Dopo il crollo del fascismo però,  l’Inno di Mameli fu adottato ufficialmente dalla neonata Repubblica italiana il 12 ottobre 1946. Questo soprattutto perché gli eredi di Verdi chiedevano dei diritti di autore molto ‘’salati’’ e l’Italia, come al solito non aveva quattrini da spendere. Quindi ecco la ragione dell’Inno di Mameli.  

Ma torniamo a Verdi che, nei successivi anni farà altre composizioni che fanno accrescere sempre più la sua popolarità . Nel 1843 aveva intrapreso una relazione, destinata poi a durare mezzo secolo, con la soprano Giuseppina Strepponi. Dopo una convivenza di dieci anni i due si sposano nel 1859 e resteranno inseparabili fino alla morte della donna, nel 1897, a causa di una polmonite.

Giuseppe Verdi a tavola con amici.

Nel 1846 si trasferisce a Parigi ed inizia a lavorare per l’Opéra di Parigi. L’anno seguente fa il suo debutto a teatro “Macbeth”, ritenuto il capolavoro giovanile di Giuseppe Verdi. Durante il periodo parigino viene insignito del titolo di Cavaliere della Legion d’Onore. 

Un dipinto di Giuseppe Verdi

Nel 1849 fugge da Parigi, a causa del diffondersi del colera, e torna a stabilirsi in Italia. 

Il 1853 è l’anno della trilogia popolare: Giuseppe Verdi dà vita a il “Rigoletto”, “Il trovatore” e “La traviata”. Con tali lavori il compositore raggiunge la piena maturità artistica, la definitiva fama internazionale e si impone come il più celebre musicista del suo tempo. 

Nel 1871 fa il suo esordio, in Egitto sul palcoscenico del Teatro ‘’il Cairo’’,  La ‘’Aida’’ opera che ottenne un enorme successo e ancora oggi continua ad essere una delle sue più famose.

Nel 1887 debutta al Teatro alla Scala di Milano l’ ”Otello”, tratta dalla tragedia omonima del drammaturgo e poeta inglese William Shakespeare. 

E’ curioso ricordare che, a proposito dell’Otello,  l’editore ne sollecitasse la conclusione.  Come ogni Natale, anche in quel 1882, l’editore Giulio Ricordi aveva inviato ai coniugi Verdi un panettone, arricchito in quell’occasione da una statuetta raffigurante un ‘’moro senza gambe’’, allusione al progetto di Otello che faticava a essere compiuto.

Nel ringraziarlo per il panettone Verdi scrive:  “Voi credete proprio che non manchino che le gambe? Io credo invece che manchino gambe testa, torace, braccia, tutto, tutto, tutto”.

Otello sarà concluso solo nel novembre 1886, ma ancora nel gennaio di quell’anno l’impresario della Scala e il Ricordi si recano da Verdi con una raccolta di firme che chiedono al più presto l’Otello alla Scala. Verdi risponde che Otello non è ancora finito e che, se lo finirà, lo darà alla Scala solo se si fossero trovati i cantanti, adatti.

L’ultima sua grande opera è il “Falstaff”, datata 1893. 

Il 27 gennaio 1901, alle 2,50 di notte, il Maestro Giuseppe Verdi muore dopo 6 giorni di agonia in conseguenza di un ictus, nella stanza n. 105 del Grand Hotel di Milano, che aveva scelto sin dal 1872 come sua residenza milanese, per la sua posizione nei pressi del teatro La Scala. Gli ultimi giorni del Maestro sono sempre raccontati come un momento di grande commozione per tutta la città di Milano: i cittadini e il Comune erano così affezionati e attenti alle sue esigenze che le strade intorno all’albergo furono cosparse per diversi giorni di paglia, per non disturbarlo con il rumore degli zoccoli e delle carrozze e permettergli di riposare. Questo fatto da un po’ l’idea del livello di rispetto che gli italiani nutrivano per il personaggio. 

Giuseppe Verdi sul letto di morte.

Il primo annuncio della morte di Verdi fu dato il 28 gennaio dal librettista Giuseppe Giacosa dalle pagine del quotidiano piacentino “Libertà”, notizia che sarà presto ripresa da tutti i quotidiani e settimanali del periodo, che riportavano le attestazioni di cordoglio da tutto il mondo e non solo dall’Italia.

Queste le intenzioni testamentarie di Verdi:

 “Ordino che i miei funerali siano modestissimi e si facciano allo spuntar del giorno o all’Ave Maria, di sera, senza canti e suoni. Basteranno due preti, due candele e una croce. Si dispenseranno ai poveri di Sant’Agata lire mille il giorno dopo la mia morte. Non voglio alcuna partecipazione particolare alla mia morte’’. 
Ma tanto era l’amore degli italiani per Verdi, che non fu organizzato solo un “funerale modestissimo” com’era la richiesta del Maestro, ma ne furono organizzati due. 

Una folla immensa saluta il musicista per l’ultima volta.

La gente saliva sugli alberi per poter vedere la bara del ”maestro”.

Il primo funerale avrebbe dovuto svolgersi in forma privata, portando il feretro al cimitero monumentale di Milano, la mattina presto, lontano da occhi indiscreti se non quelli di alcuni studenti delle scuole elementari. Ma da ogni parte di Milano sin dalle prime luci dell’alba la folla accorse e furono impiegati 7 preti e non 2 come richiesto. Il corteo funebre percorse via Manzoni, piazza Cavour, via Manin, i bastioni di Porta Nuova, quelli di Porta Garibaldi fino al cimitero Monumentale. Sui bastioni attendevano da ore decine di migliaia di persone che in silenzio aspettavano il passaggio del carro funebre che, avvolto nella nebbia del mattino, trainato da cavalli con pennacchi neri era seguito da decine di migliaia di persone a testa china. 

Un mese dopo il corpo fu spostato dal Cimitero Munumentale nella cripta della Casa di Riposo per Musicisti. Anche in quell’occasione la partecipazione popolare fu altissima.  Oltre 300.000 persone si unirono al corteo, guidato da un coro di 820 voci dirette dal Maestro Arturo Toscanini che intonavano il “Va pensiero”. Il corteo era così imponente che impiegò 11 ore per raggiungere il palazzo in Piazza Buonarroti.

Verdi è sepolto nella cripta della casa di riposo per musicisti in pensione “Casa Verdi”. Struttura fortemente voluta, finanziata e inaugurata dallo stesso Verdi. Molto attiva è stata anche la sua partecipazione nella politica italiana del tempo: è stato prima parlamentare e poi senatore a vita del neonato Regno d’Italia. In tutto ha realizzato ventotto opere liriche e numerose composizioni varie, tra cui musica da camera e sacra. Giuseppe Verdi, quando non era intento a scrivere le sue opere, passava molto tempo in giro per l’Italia e l’Europa a sovrintendere i lavori per la rappresentazione teatrale delle sue creazioni. 

Giuseppe Verdi era un uomo molto riservato, dal carattere tranquillo, schietto e di grande onestà intellettuale. Era anche un buongustaio ed amava mangiare i polli allevati nel pollaio di famiglia. il Sindaco di Busseto gli regalò un giorno un pavone ma Verdi, anziché utilizzarlo per ornare il giardino della sua villa di Sant’Agata preferì metterlo in pentola e mangiarselo.

Negli ultimi tempi fu assistito dalla soprano Teresa Stolz, la prima interprete di Aida al Cairo: una calda, sincera amicizia, conservata fino agli ultimi giorni. 

Dopo la sua morte gli sono stati dedicati in tutta Italia tre conservatori, molti teatri, monumenti e statue. La città di New York gli ha dedicato un’intera piazza, la Verdi Square di Manhattan, con annessa statua raffigurante il compositore italiano. È stato oggetto anche di numerose pellicole cinematografiche e opere teatrali. Ancora oggi le sue opere vanno in scena nei più importanti teatri del mondo. Possiamo dire, senza ombra di dubbio che Giuseppe Verdi è stato il più grande compositore italiano di tutti i tempi.

Alla prossima

Elena

Ecco qui l’elenco delle sue opere teatrali. 

  1. Oberto, Conte di San Bonifacio, dramma in 2 atti (Mi, Teatro alla Scala, 17 nov. 1839)
  2. Un giorno di regno ossia Il finto Stanislao, melodramma giocoso in 2 atti (Mi, Teatro alla Scala, 5 set. 1840)
  3. Nabucco, dramma lirico in 4 atti di T. (Mi, Teatro alla Scala, 9 mar. 1842)
  4. I Lombardi alla prima crociata, dramma lirico in 4 atti  (Mi, Teatro alla Scala, 11 feb. 1843)
  5. Ernani, dramma lirico in 4 atti da Victor Hugo (Ve, Teatro La Fenice, 9 mar. 1844)
  6. I due Foscari, tragedia lirica in 3 parti  (Roma, Teatro Argentina, 3 nov. 1844)
  7. Giovanna d’Arco, dramma lirico in 1 prologo e 3 atti (Mi, Teatro alla Scala, 15 feb. 1845)
  8. Alzira, tragedia lirica in 1 prologo e 2 atti (Na, Teatro di S. Carlo, 12 ago. 1845)
  9. Attila, dramma lirico in 1 prologo e 3 atti  (Ve, Teatro La Fenice, 17 mar. 1846)
  10. Macbeth, da William Shakespeare (Fi, Teatro della Pergola, 14 mar. 1847. Nuova versione: Parigi, Théâtre Lyrique, 21 apr. 1865)
  11.     I masnadieri, melodramma (Londra, Her Majesty’s Theatre, 22 lug. 1847)
  12. Jérusalem, grand opéra  (Parigi, Théatre de l’Académie Royale, 26 nov. 1847)
  13. Il corsaro, opera in 3 atti  (Trieste, Teatro Grande, 25 ott. 1848)
  14. La battaglia di Legnano, tragedia lirica in 4 atti (Roma, Teatro Argentina, 27 gen. 1849)
  15. Luisa Miller, melodramma tragico in 3 atti  (Na, Teatro di S. Carlo, 8 dic. 1849)
  16. Stiffelio, melodramma in 4 atti (Trieste, Teatro Grande, 16 nov. 1850. Nuova versione con il titolo di Aroldo; Rimini, Teatro Nuovo, 16 ago. 1857)
  17. Rigoletto, melodramma in 3 atti  (Ve, Teatro La Fenice, 11 mar. 1851)
  18. Il trovatore, dramma lirico in 4 atti (Roma, Teatro Apollo in Tordinona, 19 gen. 1853)
  19. La traviata, opera in 3 atti  (Ve, Teatro La Fenice, 6 mar. 1853)
  20. Les vêpres siciliennes, grand opéra in 5 atti (Parigi, Théatre de l’Académie lmpériale de Musique, 13 giu. 1855)
  21. Simon Boccanegra, opera in 1 prologo e 3 atti (Ve, Teatro La Fenice, 12 mar. 1857 (Mi, Teatro alla Scala, 24 mar. 1881)
  22. Aroldo, melodramma in quattro atti  (Rimini, Teatro Nuovo, 16 agosto 1857)
  23. Un ballo in maschera, melodramma in 3 atti (Roma, Teatro Apollo in Tordinona,17 feb. 1859)
  24. La forza del destino, opera in 4 atti  (S. Pietroburgo, Teatro Imperiale, 10 nov. 1862)
  25. Don Carlos, grand opéra in 5 atti  (Parigi, Théâtre de l’Académie Impériale de Musique, 11 mar. 1867
  26. Aida, opera in 4 atti (Il Cairo, Teatro dell’Opera, 24 dic. 1871)
  27. Otello, dramma lirico in 4 atti da W. Shakespeare (Mi, Teatro alla Scala, 5 feb. 1887)
  28. Falstaff, commedia lirica in 3 atti di A. Boito da W. Sh

A questo link potrete sentire l’aria del ‘’Coro degli Ebrei tratto dal Nabucco’’ con le parole:

Michelangelo Buonarroti

Su richiesta espressa di un’allieva del corso di italiano, di cui non dirò il nome per evitarle rimostranze da parte degli altri, oggi parleremo di Michelangelo Buonarroti. Uno degli artisti  più famosi del Rinascimento italiano.

Michelangelo naque a Caprese – una piccola città vicina ad Arezzo –  il 6 marzo del 1475. Fu un grande pittore, scultore, architetto e, perfino poeta, anche se i suoi ‘’versi’’ sono stati tenuti nascosti per molto tempo. 

Suo padre era il Podestà delle cittadine di Caprese e Chiusi e sua madre, di famiglia borghese, si chiamava Francesca di Neri. 

Finito il ‘’mandato’’ di Podestà del padre,  la famiglia tornò a Firenze e Michelangelo fu affidato a balia alla moglie di uno scalpellino. 

Era abitudine di Michelangelo, quando ormai era diventato un famoso artista, dire, per giustificare la sua passione per la scultura, di aver ‘’bevuto latte misto a polvere di marmo’’ già dalla nascita. 

Appartenente ad una famiglia di medio-alta borghesia, Michelangelo Buonarroti, avrebbe, secondo suo padre, dovuto seguire la vocazione di ‘’famiglia’’, e cioè incarichi amministrativi e/o politici, ma Michelangelo adorava disegnare e per questo motivo gli fu permesso di  frequentare la scuola di Domenico Ghirlandaio col quale però non andò mai d’accordo. 

Aveva solo tredici anni quando il padre lo mise a ‘’bottega’’ dal Ghirlandaio, con un contratto di tre anni, per imparare a dipingere. Ma l’attività della bottega non corrispondeva al carattere di Michelangelo. Come tutti i ‘’garzoni’’ che si rispettano doveva iniziare dai lavori più ‘’umili’’ come quello di spazzare, mettere in ordine  e preparare i colori per i ‘’più grandi’’.  Michelangelo non arrivò ad onorare il contratto e abbandonò la bottega del Ghirlandaio, dopo un solo anno.

A quindici anni, mentre studia, con altri compagni, gli affreschi del Masaccio, nella Cappella Brancacci nella Chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze, si prende un pugno sul naso da Pietro Torrigiani, che tra l’altro era un suo amico.   Il giovane Buonarroti aveva preso la cattiva l’abitudine di sminuire le capacità degli altri pittori, il che non gli garantiva certo molte simpatie, ecco il motivo del ‘’pugno’’ sul naso. 

Come si vede nei suoi autoritratti, il pugno gli aveva rotto il ‘’setto nasale’’ rendendolo ancora meno attraente.

Giudizio Universale – particolare – Cappella Sistina Roma

Se avete occasione di osservare l’affresco del Giudizio Universale, dietro l’altare della Cappella Sistina, nella ‘’pelle’’ che pende dalla mani di San Bartolomeo, anche se informe, sono riconoscibili le sembianze dell’artista e quel naso rotto che ormai lo caratterizza. Il Torrigiani a causa di quel pugno fu esiliato. Vagò tra l’Inghilterra e la Spagna dove morì in prigione per aver sfregiato un Cristo, da lui stesso modellato.  II gesto fu interpretato come un’azione sacrilega e non come una protesta nei confronti dei ritardi di pagamento da parte del committente. Morale della favola? Torregiani, era un bravissimo artista ma … privo di ‘’appoggi politici’’. Michelangelo, altrettanto bravo, di appoggi politici ne aveva e anche parecchi, visto che Lorenzo il Magnifico lo aveva preso sotto la sua protezione e la sua ‘’fama’’, aumentava di giorno in giorno. 

Dopo una fitta nevicata avvenuta a Firenze,  Michelangelo viene chiamato a corte da Piero de Medici, figlio e successore di Lorenzo il Magnifico, morto da poco.  Piero gli chiede di fare una grande statua di neve. Michelangelo accetta la sfida e fa la statua di un Ercole enorme e bellissimo che tutta la cittadinanza fiorentina potè ammirare per un’intera settimana. 

Il Buonarroti però, oltre a prendere ‘’pubblicamente’’ in giro gli altri ‘’pittori’’ ne studiava con attenzione i lavori.  In particolare maestri come Filippo Lippi, Gentile da Fabriano, Verrocchio, Pollaiolo e Masaccio.  Michelangelo frequentava il ‘’giardino di casa Medici’’ – una sorta di ‘’scuola dell’arte’’ –  dove era conservata una grandissima collezione di oggetti preziosi:  quadri, tavole dipinte, libri antichi, statue, gioielli , vasellame –   e dove si riunivano uomini illustri del panorama italiano della fine del quattrocento, tra i quali Angelo Poliziano, Pico della Mirandola e Marsilio Ficino. 

E’ proprio in questo ambiente che l’artista matura la sua idea della bellezza dell’arte: anche per lui come per gli altri artisti del Rinascimento, l’arte è l’imitazione della natura e che, attraverso lo studio di essa,  si arriva alla bellezza.

Nel 1496 lascia la città di Firenze e si trasferisce a Roma dove su commissione del cardinale  francese Jean Bilheres realizza, a soli 21 anni, la famosissima “Pietà”.

Pietà – Roma Cappella Sistina

Il gruppo scultoreo rappresenta la Madonna con in grembo il Cristo senza vita. Per Michelangelo Buonarroti la scultura era un’arte particolare, secondo la quale l’artista aveva il compito di ‘’liberare’’ dalla pietra, le figure che vi erano già imprigionate dentro. Per questo egli considerava la vera scultura quella ottenuta tramite il ‘’togliere”,  cioè di togliere dal blocco di pietra le parti di marmo inutili, e proprio per questo motivo si recava personalmente a Carrara per scegliere i blocchi di marmo che lo ‘’ispiravano’’.

Nel 1501, tornato a Firenze, gli viene commissionata una scultura rappresentante il “David”.  Per la sua realizzazione gli viene però dato un blocco di marmo che era già stato inizialmente tagliato e ridotto da Agostino di Duccio. Michelangelo non amava, come sappiamo,  questo lavoro già iniziato da ‘’altri’’ … ma fece buon viso a cattivo gioco e creò una meraviglia. 

David di Michelangelo – Firenze

L’opera rappresenta il giovane “David” contro il gigante Golia nell’attimo precedente il  lancio della pietra, sono evidenti nelle membra, nelle vene a fior di pelle la tensione e la calma concentrazione che precedono l’azione.  Il “David” fu collocato davanti Palazzo Vecchio, oggi il suo posto è occupato da una copia, mentre l’originale si trova all’Accademia di Belle Arti. 

La decisione della collocazione del David fu presa da una commissione di personaggi importanti della città,  artisti compresi. Tra questi artisti c’era anche Leonardo Da Vinci il quale votò per mettere la statua in una posizione poco visibile, anziché davanti al Palazzo,  la voleva relegare sotto una loggia nascosta. Il che dimostra quanto poco i ‘’due’’ artisti si amassero. 

Sempre a Firenze, per il matrimonio di Agnolo Doni, eseguì una tavola ‘’rotonda’’ rappresentante la “Sacra Famiglia”, conosciuta con il nome di “Tondo Doni”. Una tela davvero particolare per l’epoca. Le figure sono molto colorate, sono rappresentate come sculture e il movimento dei personaggi è ‘’vitale’’.  In primo piano, al centro, vi è la rappresentazione della Sacra famiglia, alle spalle della quale, al di la di un muretto si vede San Giovanni e, ancora dietro di lui, ad occupare lo sfondo,  figure di giovani nudi.

Curioso ricordare che, alla consegna dell’opera, il Doni si rifiutò di pagare la somma pattuita. Al che Michelangelo si riprese la tela e, senza tante discussioni, se ne andò. Il Doni lo rincorse dicendogli che avrebbe pagato quanto stabilito.  Michelangelo però gli disse che, se voleva la tela, ora avrebbe dovuto dargli il doppio di quanto stabilito inizialmente.  Era la prima volta che un ‘’artista’’ non si sottometteva al committente. Il nobile Doni nonostante la cosa lo infastidisse molto, pur di aver la tela, sborsò quanto richiesto. 

La Cappella Sistina si chiama così perché nel 1471, quando il ligure Francesco della Rovere, viene eletto al soglio pontificio, prende il nome di Sisto IV.  Costui è un uomo astuto, ambizioso e coltissimo, amante dei libri e dell’arte,  tanto che durante il suo pontificato Roma diventa il polo d’attrazione dei più importanti intellettuali dell’epoca. È lui infatti che arricchisce la biblioteca vaticana di preziosi classici e che la rende accessibile agli umanisti, è lui che crea il primo nucleo di quelli che saranno poi i musei capitolini ed è al suo nome che è legata la più grande impresa artistica del Rinascimento italiano, la Cappella Sistina appunto. 

Sisto IV muore nel 1484, certamente soddisfatto della sua impresa. Non passano però molti anni che un altro Della Rovere, Giuliano, sale al trono papale. Nel 1503 è infatti eletto papa Giulio II, nipote di Sisto, come lui ambizioso e come lui desideroso di lasciare nella storia un’impronta indelebile. 

Giulio II della Rovere, commissiona a Michelangelo, il suo complicatissimo monumento funebre, al quale l’artista si dedicò saltuariamente, tra un lavoro e l’altro, dal 1503 al 1545, cambiandone più volte i progetti.  

Nel frattempo la Cappella Sistina aveva avuto dei problemi di ‘’staticità’’.  Si erano aperte delle ‘’crepe’’ che il Bramante aveva aggiustato grazie ad un sistema di ‘’catene’’ che avevano messo si in sicurezza le pareti, ma che ne avevano rovinato gli affreschi pre-esistenti.  Quindi bisognava ridecorarla ed ecco che, questo lavoro,  viene affidato a Michelangelo. Una ‘’sfida’’ che quest’ultimo accetta di buon grado.

Nel  1508  l’artista firma il contratto; il lavoro venne completato il 31 ottobre del 1512. Quattro anni di lavoro continuo.  La decorazione della volta incontrò numerose difficoltà, tutte brillantemente superate dall’artista e dai suoi collaboratori. Per essere in grado di raggiungere il soffitto, Michelangelo necessitava di una struttura di supporto; la prima idea fu del Bamante, che volle costruire per lui una speciale impalcatura, sospesa in aria per mezzo di funi. Ma Michelangelo temeva che questa soluzione avrebbe lasciato dei buchi nel soffitto, una volta completato il lavoro, così costruì un’impalcatura da sé, una semplice piattaforma in legno su sostegni ricavati da fori nei muri posti nella parte alta vicino alle finestre. Questa impalcatura era organizzata in gradoni in modo da permettere un lavoro agevole in ogni parte della volta. Il primo strato di intonaco steso sulla volta cominciò ad ammuffire perché era troppo bagnato. Michelangelo dovette rimuoverlo e ricominciare da capo, ma provò una nuova miscela creata da uno dei suoi assistenti, Jicopo l’Indaco. Questa non solo resistette alla muffa,  ma entrò anche nella tradizione costruttiva italiana.

Schiavo Morente

Poco dopo la morte di Giulio II Michelangelo Buonarroti terminò le sculture dello “Schiavo ribelle”, dello ‘’schiavo morente’’ e del “Mosè”.  Queste statue erano in realtà parte del previsto monumento funebre del papa. Ma il progetto era troppo ambizioso ed impegnativo, gli eredi litigavano per il costo e, alla fine, venne deciso di farlo  molto più piccolo e, soprattutto, con l’aiuto di altri artisti. 

Schiavo Ribelle

Mosè – Roma Cappella Sistina

Michelangelo Buonarroti morì – ad 89 anni –  il 18 febbraio del 1564 a Roma nella sua casa presso il Foro di Traiano e la salma fu deposta ai SS. XII Apostoli. Il nipote, Lionardo Buonarroti, trafugò il corpo, lo nascose in un rotolo di panni e, caricatolo su un carretto insieme ad altre merci, lo portò a Firenze dove il maestro venne sepolto il 12 marzo 1564 nella chiesa di Santa Croce.

Ora parliamo un pò dell’ ‘’uomo’’ Michelangelo, per esempio: era sposato? Aveva figli?  Non si hanno notizie né di ‘’matrimoni’’ nè di ‘’eredi’’. Si è detto e ripetuto, benché prove certe non ve ne siano, che Michelangelo sia stato un omosessuale e probabilmente lo furono anche alcuni papi e alti prelati che protessero lui e le sue opere.  L’ esibizione, spesso allusiva e a volte volgare, del nudo maschile, non rimanda di per sé ad atteggiamenti omosessuali da parte dell’artista, altrimenti dovremmo dire che tutti gli artisti della Grecia classica lo fossero.

Le figure femminili ritratte da Michelangelo o sono troppo maschili, tanto da sembrare – diremmo oggi – dei transessuali, o sono idealizzate in una forma stereotipata, spesso da risultare madri molto più giovani del figlio morto, come ad esempio nella Pietà, o mogli molto più giovani dei loro mariti (come Maria nel Tondo Doni).

L’ostentazione degli attributi maschili, dalla muscolatura agli organi genitali,  appare indubbiamente una forma di imposizione a chi guarda, che si concilia male con i temi religiosi che gli venivano di solito commissionati.  

Una delle pochissime opere di Michelangelo a soggetto profano, gli venne commissionata dal cardinale Raffaele Riario, durante il primo soggiorno romano verso il 1496.  Il Riario era stato la vittima della ‘’truffa del Cupido Dormiente’’.  

Le cose erano andate così: Michelangelo crea il Cupido Dormiente in marmo e lo vende a qualcuno. Questo ‘’qualcuno’’ seppellisce sotto terra il Cupido per ‘’invecchiarlo’’ e poi lo vende al Cardinale a caro prezzo, spacciandolo per un antico reperto greco.

Il Cardinale acquista l’opera in buona fede, ma poi, scopre l’inganno e va su tutte le furie. Manda un suo agente a cercare a Firenze l’autore del pezzo contraffatto. Trova Michelangelo che, probabilmente ignaro della truffa, viene invitato a Roma a conoscere il cardinale. Il Riario gli commissiona una statua “all’antica”, un giovane Bacco. Bacco è il Dio del vino e della vendemmia, nonché del piacere dei sensi e del divertimento … 

L’artista si mette al lavoro, completando l’opera in appena un anno, dal 1496 al 1497. Il cardinale però, non ama affatto questo giovane ‘’Bacco’’ nudo e chiaramente ubriaco e ne rifiuta l’acquisto. 

Michelangelo avrebbe potuto benissimo ‘’vestire’’ il Bacco in questione, visto il ‘’personaggio’’ che lo commissionava.  Avrebbe potuto evitare delle ‘’allusioni’’ pesanti. Ma quella del ‘’nudo’’ era una sua fissazione maniacale. Inoltre, riteneva che il suo genio, riconosciuto e stimato dalla critica, non dovesse essere sottoposto ad alcun controllo, ad alcuna verifica e ad alcuna critica.

Quando qualcuno si azzardava a criticarlo, la sua reazione era immediata e sempre esagerata, anche perché sapeva di avere, nelle stanze vaticane, ampi consensi. 

L’egocentrismo di Michelangelo si rifletteva anche nella sua costante difficoltà ad avere relazioni sociali normali. Sono parecchi i nomi citati dai critici e alcuni persino dallo stesso Michelangelo tra i suoi possibili ‘’amanti’’, di ogni età e condizione sociale: Tommaso de’ Cavalieri, Gherardo Perini, Giovanni da Pistoia, Pietro Urbano, Antonio Mini, Luigi Pulci jr, Benedetto Varchi, Giovannangelo detto “il Montorsoli”, Febo dal Poggio, Cecchino Bracci, Francesco Amadori detto “l’Urbino”, Pierfrancesco Borgherini, che ricevette l’eredità più cospicua alla morte di Michelangelo.

Non dimentichiamo ch’egli da giovane s’era formato nella cerchia di grandi filosofi omosessuali come Marsilio Ficino e Pico della Mirandola.

Comunque, Michelangelo Buonarroti è stato uno dei grandissimi  protagonisti del Rinascimento italiano. Riconosciuto come uno dei maggiori artisti di tutti i tempi,  tanto geniale quanto irrequieto.

Il suo nome è collegato a una serie di opere che lo hanno consegnato alla storia dell’arte, alcune delle quali sono conosciute in tutto il mondo e considerate tra i più importanti lavori dell’arte occidentale: il David, La Pietà, La Cupola di San Pietro, gli affreschi della Cappella Sistina sono considerati traguardi insuperabili dell’ingegno creativo.

Alla prossima

Elena