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Torino e la Sacra Sindone … cosa ne sappiamo?

Recentemente la Stampa di Torino ha trasmesso un reportage nel quale si evidenziavano le scarse conoscenze dei ”torinesi” riguardo la Sacra Sindone.

Qui troveremo un ”condensato veloce” – tipo Bignami – su quello che, almeno noi torinesi, dovremmo sapere sull’argomento.

La Sindone di Torino, nota anche come Sacra o Santa Sindone, è un lenzuolo di lino, conservato nel Duomo di Torino, sul quale è visibile l’immagine di un uomo che porta segni di maltrattamenti e torture compatibili ed interpretate con quelli descritti nella passione di Gesù.

La tradizione cristiana identifica l’uomo con Gesù e il lenzuolo con quello usato per avvolgerne il corpo nel sepolcro.  Il termine “sindone” deriva dal greco σινδών (sindon), che indicava un ampio tessuto, simile ad un lenzuolo.

Nel 1988, l’esame al carbonio 14, eseguito contemporaneamente e indipendentemente dai laboratori di Oxford, Tucson e Zurigo, ha datato la sindone in un intervallo di tempo compreso tra il 1260 ed il 1390, periodo corrispondente all’inizio della ”storia della Sindone”. Cioè da quando esistono documenti che la citano.

La sua autenticità continua a essere oggetto di fortissime controversie.

Le esposizioni pubbliche della Sindone sono chiamate ”ostensioni”  (dal latino ostendere, “mostrare”). Le ultime sono state nel 1978, 1998, 2000, 2013.  La prossima ostensione è prevista quest’anno (2015) a Torino dal 19 aprile al 24 giugno. 

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La prima notizia riferita con certezza alla Sindone risale al 1353.  Il cavaliere Goffredo (Geoffey) di Charny che ha fatto costruire una chiesa nella cittadina di Lirey in cui abita, dona alla chiesa un lenzuolo che dichiara essere la Sindone che avvolse il corpo di Gesù.  Non spiega però come ne sia venuto in possesso, anche se, una plausibile risposta potrebbe essere quella di esser parte di un  ”bottino di guerra” trafugato dai cavalieri templari.

Sindone-Salvator-MundiIl sacro volto secondo Leonardo da Vinci 

Alcuni anni dopo scoppia una disputa per il possesso della Sindone: il conte Umberto de la Roche, marito di Margherita di Charny, figlia di Goffredo II, verso il 1415 prende in consegna il lenzuolo per metterlo al sicuro in occasione della guerra tra la Borgogna e la Francia.

Margherita si rifiuta poi di restituirlo alla Chiesa di Lirey reclamandone la proprietà. I canonici la denunciano,  la causa si protrae per molti anni e Margherita, rimasta vedova, inizia ad organizzare una serie di ostensioni durante i suoi viaggi in giro per l’Europa.

Nel 1449  a Chimay,  in Belgio, durante una di queste ostensioni, il vescovo locale ordina un’inchiesta e chiede a Margherita di mostrare le ”bolle papali”  in cui il telo viene definito senza ombra di dubbio, una raffigurazione del Cristo. Margherita ovviamente non le possiede … l’ostensione viene quindi interrotta e lei espulsa dalla città. Negli anni successivi continua a rifiutarsi di restituire la Sindone al Papa finché, nel 1453,  la vende ai duchi di Savoia. L’anno successivo verrà scomunicata.

I Savoia conservano la Sindone nella loro capitale:  Chambery , dove fanno costruire una cappella.  Nel  1506 ottengono da Giulio II l’autorizzazione al ”culto pubblico della Sindone” e l’ autorizzazione a celebrare la santa messa in suo onore.

La notte tra il 3 e il 4 dicembre 1532,  nella cappella in cui la Sindone è custodita, scoppia un incendio, e il lenzuolo rischia di essere distrutto.  Un consigliere del duca, due frati del vicino convento e alcuni fabbri forzano i cancelli e si precipitano all’interno, riuscendo a portare in salvo il reliquiario d’argento già avvolto dalle fiamme. Alcune gocce d’argento fuso sono cadute sul lenzuolo bruciandolo in più punti. La Sindone viene allora affidata alle suore clarisse di Chambéry, che la riparano applicando dei rappezzi alle bruciature più grandi e cucendo il lenzuolo su una tela di rinforzo. Nel frattempo, poiché si è diffusa la voce che la Sindone sia andata distrutta o rubata, si tiene un’inchiesta ufficiale che, ascoltate le testimonianze di coloro che hanno visto il lenzuolo ”prima e dopo” l’incendio, certifica che si tratta dell’originale. La Sindone viene di nuovo esposta pubblicamente nel 1534.

Nel 1535 il Ducato di Savoia entra in guerra. Il duca Carlo III deve lasciare Chambéry e porta con sé la Sindone. Negli anni successivi il lenzuolo soggiorna a Torino, Vercelli e Nizza. Soltanto nel 1560 Emanuele Filiberto,  successore di Carlo III, può riportare la Sindone a Chambéry, dove rimane per i successivi diciotto anni. Dopo aver trasferito la capitale del ducato da Chambéry a Torino nel 1562,  il duca Emanuele Filiberto decide di portarvi anche la Sindone. L’occasione si presenta quando l’arcivescovo di Milano San Carlo Borromeo fa sapere che intende sciogliere il voto, da lui fatto durante l’epidemia di peste degli anni precedenti, di recarsi in pellegrinaggio a piedi a visitare la Sindone. Emanuele Filiberto ordina di trasferire la reliquia a Torino per abbreviargli il cammino, che San Carlo percorre in cinque giorni.

La Sindone non viene più riportata a Chambéry e da allora resterà sempre a Torino.  Nel 1694 viene collocata nella nuova Cappella costruita tra il Duomo e il Palazzo reale, dall’architetto Guarino Guarini, e questa è tuttora la sua sede.

In occasione dell’ostensione pubblica del 1898, l’avvocato torinese Secondo Pia, appassionato di fotografia, ottiene dal re Umberto I il permesso di fotografare la Sindone. Superate alcune difficoltà tecniche, il Pia esegue due fotografie e al momento dello sviluppo gli si manifesta un fatto sorprendente … l’immagine della Sindone sul negativo fotografico appare “al positivo”, vale a dire che l’immagine stessa è in realtà un negativo. La notizia fa discutere e accende l’interesse degli scienziati, dando inizio a un’epoca di studi che fino a oggi non si è conclusa; ma non manca anche chi accusa il Pia di avere manipolato le lastre.

Nel 1931 viene eseguita una nuova serie di fotografie, affidata a Giuseppe Enrie. Per evitare polemiche, tutte le operazioni vengono svolte in presenza di testimoni e certificate da un notaio. Le fotografie di Enrie confermano la scoperta del Pia e dimostrano che non vi era stata nessuna manipolazione.

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Ancora oggi, la Sacra Sindone, per alcuni è una ”ben montata” mistificazione … per altri … è il lenzuolo in cui il Cristo è stato avvolto … e davanti al quale ci si inginocchia in raccoglimento per pregare …

Alla prossima

Elena

 

 

 

 

art. collegato: http://www.lemonde.fr/europe/article/2015/04/19/un-million-de-personnes-attendues-a-l-exposition-du-suaire-de-turin_4618748_3214.html

TIMBUCTU’ … e l’occupazione jihadista …

Ieri siamo andati al Vox a vedere Timbuctù. Considerato il successo che ha ottenuto a Cannes più o meno ne conoscevo il contenuto, ma mi intrigava il fatto che il regista, Sissako, non fosse il solito ”occidentale” che interpreta a modo suo, l’esistenza di esseri umani sottoposti alla legge della Sharia.

Abderrahmane Sissako è nato Mauritania nel 1961, subito dopo la nascita la famiglia si stabilì in Mali, paese di suo padre. Ha frequentato le scuole nel Mali, poi è andato a Mosca dove ha studiato cinematografia al Federal State Film Institute dal 1983 sino al 1989.  Dal 1990 vive in Francia.

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Abderrahmane Sissako

Il film è girato a Timbuctù – antica città del Mali nell’africa Sahariana, considerata, data la sua bellezza,  patrimonio dell’Unesco. Era una città ricchissima nel periodo in cui i trasporti erano fatti con le carovane di cammelli … era la ”porta” di comunicazione tra Africa ed Arabia.

Timbuctù  pare sia l’unica città dell’Africa nera che ha avuto un’università non influenzata dalle scuole di pensiero formatesi in nord Africa o nel Golfo persico. Egitto, Marocco, Algeria, Arabia saudita, sono tutti Stati in cui le università hanno ”manipolato” l’interpretazione dell’Islam a seconda dei propri interessi.

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Timbuctù

I musulmani di Timbuctù vantano invece un’indipendenza storica e religiosa che ha permesso loro di seguire la propria strada moderata … quindi è impensabile che venga loro imposta la versione della sharia voluta dagli integralisti.

Ma le cose invece sono andate purtroppo in modo diverso. La legge del Kalashnikov … quella cioè che utilizzano i fanatici islamici Jihadisti … la fa sempre da ”padrona indiscussa”!

Il film mostra i jihadisti non come degli stereotipati demoni, ma come degli esseri abbastanza insulsi, che trovano la propria affermazione personale, inquadrando la loro misera esistenza nella rigida ed ”ottusa” interpretazione del corano.

Un’interpretazione che annulla l’essere umano, e che è particolarmente ”cattiva” nei riguardi delle donne.

Queste povere creature, sono considerate dagli integralisti dei veri a propri ”diavoli tentatori” , vengono quindi obbligate ad indossare oltre al niqab anche i guanti e calze neri  quando escono di casa.

Inoltre è vietato cantare … è vietato divertirsi … è vietato fumare … è vietato bere … è vietato giocare a pallone …

Commovente la scena in cui giovani pieni di entusiasmo si ritrovano in un campo a giocare a pallone … senza pallone!  E, quando i ”controllori armati di mitra” arrivano attirati dal movimento, fingono di fare ginnastica.

Naturalmente questi ”divieti” non valgono per tutti quanti …  a ”qualcuno” tra i membri delle jihad ”qualche cosa”  è ”permesso”.

Il film ha come filo conduttore la tragedia che ha colpito famiglia di Kidane, un tuareg che vive in tenda nella periferia di Timbuctù  con la bella moglie e l’incantevole figlia. Kidane è un pastore e possiede un piccolo gregge di capre e 8 preziosissime mucche. Il lavoro di guardiano delle mucche è svolto da un ragazzino orfano assunto da Kidane per questo compito.

Un giorno portando il branco di mucche a bere al fiume, una di queste sfugge al controllo del ragazzo, rimanendo impigliata tra le reti tesi del pescatore Amadou che, furioso, la uccide.

Kidane va per discutere la questione, portando, in tasca, avvolta in un panno una pistola,  più come ”minaccia” che con l’intenzione di usarla. Nella foga della discussione però, vengono alle ”mani” e nella colluttazione parte un colpo che uccide il pescatore.

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Kidane litiga con il pescatore Amadou …

La legge della Sharia (o legge del taglione) si applica immediatamente … quindi Kidane viene condannato, senza nemmeno farlo parlare ancora una volta con la moglie. Lei ,avvertita telefonicamente, lo raggiungerà nel momento dell’esecuzione e verrà uccisa con lui, lasciando la loro unica figlia dodicenne orfana.

Intorno alla storia di questa famiglia, ruotano altre situazioni, con le relative reazioni dei fondamentalisti.

Alcuni giovani sorpresi a suonare la chitarra e canticchiare delle canzoni, cosa che avveniva tra le proprie mura domestiche, vengono catturati e frustati pubblicamente. 80 colpi di frusta ciascuno …

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Una coppia di giovani che vivevano assieme senza esser sposati … vengono condannati entrambi alla lapidazione …

Una giovane ragazza viene rapita da un jihadista e costretta a sposarlo senza il consenso né della ragazza né della sua famiglia. Decide la legge coranica!  Legge che mette in questo caso, il volere dell’uomo prioritario nei confronti di quello della donna.

Vedere questo film è un po’ come fare un viaggio a ritroso nel tempo, ci si trova in pieno Medio Evo, tra le classi meno abbienti della popolazione.

E’ drammatico per noi occidentali … anche solo ”immaginare” una vita così ”misera” al giorno d’oggi.

Anche se in Mali nel 2013 un intervento francese, su richiesta dell’allora presidente Dioncounda Traoré, aveva cacciato i fondamentalisti islamici che avevano preso potere in alcune zone, sono ancora troppe le zone del mondo in cui la popolazione soffre, suo malgrado,  il fondamentalismo religioso.

Quando due sassi vengono sbattuti l’uno contro l’altro è inevitabile vi siano delle ”scintille”.

Secondo me la globalizzazione agisce proprio in questo senso,  ”sbatte” una contro l’altra, due civiltà completamente diverse.

Mette a contatto un occidente che,  pur con tutte le sue colpe ed i suoi difetti, considera comunque l’uomo al centro del sistema, gli estremisti islamici mettono al ”centro del sistema” il corano e la parola del profeta.

E’ inevitabile che le scintille continuino a lungo …

Alla prossima

 

Elena

 

2 0 1 5 …

Ed eccoci arrivati al 31 dicembre … che dire?

E’ stato un anno difficile, come lo sono stati d’altronde quelli che lo hanno preceduto.

Per i giovani, grazie a Dio,  un anno in più non significa molto … ne hanno tanti davanti … La percezione del tempo che trascorre per loro è mitigata dalla ”forza vitale” che li alimenta.

Questo è l’immenso bene che la gioventù porta dentro di sé. Un bene che li porta a guardare ”avanti” …

Per gli altri, un anno in più, scandisce l’inesorabile passare del tempo … quella clessidra che non si ferma mai e che va in una sola direzione.

Un tempo che si vorrebbe fosse, nel limite del possibile, sereno … ma che invece ha dentro di se il ”germe” dell’angoscia e dell’insicurezza.

Spero tanto e con tutto il cuore, per me e per tutti i miei amici e conoscenti, che il 2015 sia l’anno in cui  la luce si faccia vedere al fondo di questo tunnel maledetto, in cui ci siamo infilati nel 2007 e da dove non siamo ancora riusciti ad uscire!

Lo spero per tutti noi, per i nostri figli e per i nostri nipoti!

Un abbraccio con affetto a tutti quanti.

Alla prossima

Elena

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