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Trino – Deposito nucleare: cosa c’è dietro il ritiro dell’autocandidatura?

TRINO. Il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi non sarà costruito in mezzo alle risaie del Vercellese. Dopo aver chiesto ed ottenuto da Governo e Parlamento una modifica legislativa che gli ha permesso di candidare, per la realizzazione del Deposito, il territorio di Trino già dichiarato inidoneo da Sogin e Isin, ed esattamente tre mesi dopo aver presentato l’autocandidatura, il sindaco Daniele Pane è stato costretto a ritirarla.
Il lungo pressing sulle istituzioni
Da anni Pane è convinto che la soluzione per lo stoccaggio del materiale radioattivo attualmente immagazzinato a Trino (in minima parte), a Saluggia e in altre decine di siti “temporanei”, oltre a quello che rientrerà dal ritrattamento all’estero e a quello prodotto per usi diagnostici e medicali, sia la costruzione del Deposito a Trino. Ne aveva già parlato nel 2019 in un convegno romano organizzato dalla Fondazione Farefuturo dell’attuale ministro Adolfo Urso, a cui aveva partecipato insieme al suo mentore Roberto Rosso. Ha continuato a coltivare questa ipotesi anche quando Trino – con la pubblicazione della CNAPI, prima tappa del percorso verso l’individuazione del sito – era stata esclusa dal novero delle aree potenzialmente idonee, fino a proporla ufficialmente intervenendo nel novembre 2021 al Seminario Nazionale sul Deposito organizzato da Sogin. E finalmente tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 – con un intervento alla Commissione Ambiente della Camera l’8 novembre 2023, e con l’invio di richieste scritte – ha ottenuto dal Governo amico (Pane è esponente di Fratelli d’Italia), che ha inserito nella norma una modifica ad hoc, la possibilità di candidare Trino. Il 12 gennaio scorso, poche ore dopo la conclusione di una lunga seduta del Consiglio comunale, ha riunito la Giunta, ha deliberato e ha inviato a Sogin la pec con l’autocandidatura.
Tre mesi di mobilitazione
Fin da dicembre, da quando si era capito che il ministro (piemontese) Gilberto Pichetto Fratin aveva inserito nel decreto-legge 181 il comma ad Tridinum richiesto da Pane, tra basso Vercellese e Monferrato i cittadini hanno cominciato a mobilitarsi contro la (possibile, poi dichiarata) autocandidatura. E’ nato il Comitato Tri-No, che ha coordinato i gruppi spontanei sorti in vari centri, ha superato il migliaio di iscritti, ha supportato una petizione con oltre cinquemila firme e ha instancabilmente organizzato incontri informativi in molti paesi della zona. Legambiente il 3 febbraio ha organizzato una manifestazione che ha toccato il Principato di Lucedio, la centrale “Galileo Ferraris” e il centro storico di Trino.
Pronti i ricorsi
Il sindaco Pane ha sempre snobbato con ostentazione le obiezioni delle associazioni ambientaliste, del Comitato Tri-No e delle forze politiche che gli chiedevano di ritirare l’autocandidatura. Forte dell’appoggio della sua maggioranza in Consiglio comunale, attendeva che Sogin certificasse l’idoneità del già scartato sito di Trino. Ha però cominciato a preoccuparsi quando, ai primi di marzo, è risultato chiaro che contro la sua delibera di autocandidatura sarebbero stati presentati diversi ricorsi amministrativi: dalle associazioni ambientaliste (Legambiente dispone di un proprio Centro di azione giuridica) e dal Comitato Tri-No, certo, ma anche da alcuni agricoltori e, soprattutto, da almeno una decina di Comuni circostanti, i cui sindaci si erano già riuniti a Crescentino e avevano deciso di affidare congiuntamente l’incarico allo studio dell’avvocato Paolo Scaparone, già docente di Diritto amministrativo all’Università di Torino. Battaglie legali su più fronti che avrebbero coinvolto il Comune di Trino per lunghi mesi, se non addirittura anni.
Correzione “fraterna”
Ma a costringere Pane a ritirare l’autocandidatura sono stati, in alcuni concitati conciliaboli che hanno preceduto di poche ore la riunione di Giunta – convocata in tutta fretta e tenutasi in videoconferenza – di martedì 12 marzo, soprattutto alcuni influenti esponenti della coalizione di destra e, in particolare, del suo partito. L’autocandidatura del Comune di Trino infatti, decisa da Pane senza consultarsi con i maggiorenti di Fratelli d’Italia e con gli altri amministratori della zona (in gran parte alla guida di Giunte di destra), stava creando grossi problemi alla coalizione e al partito: il malcontento stava crescendo, anche tra la popolazione e tra alcuni “grandi elettori” dei partiti attualmente al governo del Paese, della Regione, della Provincia e della città di Vercelli. A tre mesi dalle elezioni europee, regionali e amministrative (di Vercelli, Crescentino, Cigliano ecc.) nelle quali Fratelli d’Italia auspica di raddoppiare i consensi rispetto a cinque anni fa, il partito non poteva permettersi né di sostenere né di ignorare (come per qualche settimana ha tentato di fare) la dirompente iniziativa del suo rampante esponente Daniele Pane. E così, accerchiato dal sottosegretario Andrea Delmastro, dal consigliere regionale Carlo Riva Vercellotti, dal presidente della Provincia vercellese Davide Gilardino e dal sindaco casalese (e probabile candidato al Consiglio Regionale) Federico Riboldi, Pane ha dovuto capitolare. Non per nulla, alla conferenza stampa del giorno successivo in municipio a Trino, il partito gli ha affiancato come “badante” proprio Gilardino, in rappresentanza di tutti i Comuni della provincia contrari all’autocandidatura.
Una delibera che gronda falsità
Anziché limitarsi a deliberare la revoca (alcuni giuristi ritengono che sarebbe stato preferibile l’annullamento) della delibera di autocandidatura del 12 gennaio, nella relazione che precede il dispositivo di deliberazione il sindaco Pane – con la mano evidentemente guidata dalla rabbia e non da una ponderata valutazione dei fatti – ha infilato una serie di affermazioni oggettivamente false.
Innanzitutto Pane scrive che la richiesta di «rivalutazione del territorio di Trino» è «l’unica scelta allo stato percorribile ai fini dell’accelerazione del processo di realizzazione del deposito». Affermazione falsa: l’introduzione – chiesta e ottenuta da Pane – nel decreto 31 del 2010 della possibilità di autocandidature da parte di aree già valutate come non idonee (e quindi la necessità di predisporre una CNAA, Carta Nazionale delle Aree Autocandidate) non ha accelerato, bensì rallentato la procedura già in corso, che prosegue con i passaggi previsti dall’art. 27 del decreto dopo la pubblicazione della proposta di CNAI (risalente al 13 dicembre 2023): «il Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, con proprio decreto, di concerto con Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, approva la CNAI, con il relativo ordine di idoneità. La CNAI è pubblicata sui siti della Sogin, dei suddetti Ministeri e dell’Agenzia».
L’autocandidatura di Trino si è inserita come una zeppa in questo lineare percorso previsto fin dal 2010 e di fatto lo ha bloccato perché ha aperto la procedura di CNAA e, come ha spiegato il funzionario ministeriale Nicola Ippolito – invitato proprio da Pane al Consiglio comunale dell’11 gennaio – «i Comuni della CNAI rimangono in attesa: o è l’una o è l’altra; solo se la procedura CNAA viene interrotta si torna alla CNAI».
Checché ne dica Pane, quindi, l’autocandidatura del Comune di Trino non ha portato alcuna «accelerazione», anzi: dal 13 dicembre sono trascorsi più di tre mesi, e proprio a causa dell’inserimento di Trino – funzionale all’apertura del percorso CNAA – non sono stati fatti dal Governo ulteriori passi verso l’approvazione della CNAI, atto necessario per i successivi passaggi previsti dal decreto al fine dell’individuazione del sito tra i 51 selezionati. Ora che l’autocandidatura di Trino è saltata occorre che Sogin, enti locali, associazioni e cittadini esaminino con attenzione le caratteristiche dei siti inseriti nella CNAI: ed è ciò che si poteva e doveva fare fin dal dicembre scorso, se non fosse stata messa in campo da Pane la turbativa dell’autocandidatura.
In un altro punto della delibera di revoca, poi, il sindaco Pane afferma che «diversi Comuni sia della provincia di Vercelli che di Alessandria, i presidenti delle Province di Vercelli e di Alessandria e quello della Regione Piemonte nonché alcune associazioni ambientaliste hanno evidenziato di non condividere alcun metodo previsto dalla vigente normativa per l’individuazione del sito idoneo per la realizzazione del Parco Tecnologico e del Deposito Unico Nazionale».
Anche questa affermazione è oggettivamente falsa. Comuni, Province, Regioni e associazioni ambientaliste hanno attivamente partecipato alla procedura per l’individuazione del sito idoneo, tanto che nel 2021 hanno inviato puntuali e dettagliate «osservazioni e proposte tecniche» a Sogin dopo la pubblicazione della CNAPI e hanno partecipato al Seminario Nazionale: osservazioni e Seminario espressamente previsti dalla normativa (il già citato decreto del 2010). Quanto alle associazioni ambientaliste, poi, sono state proprio loro, fin dal 2017, a collaborare alla stesura del “Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi”, tuttora reperibile sul sito internet del Ministero dell’Ambiente: Programma in cui si prevede espressamente la necessità della realizzazione di un Deposito Nazionale. Come si può, sulla base di tutto ciò, accusare gli ambientalisti di non «condividere il metodo»?
A non «condividere il metodo» per l’individuazione del sito per il Deposito, ed anzi a cercare di “minarlo” introducendo – tredici anni dopo l’approvazione del decreto – la possibilità di rivalutazione di siti già giudicati inidonei, è sempre stato soltanto Pane, che ora accusa di ciò le altre istituzioni e le associazioni ambientaliste. E’ il tipico caso di bue che dà del cornuto all’asino, ma il problema è che Pane lo fa non nella stalla ma in una delibera del Comune che amministra.
Infine Pane, anche in questo caso spinto dal livore verso coloro che l’hanno costretto al clamoroso dietrofront, sempre nella delibera di Giunta del 12 gennaio scrive che è «in capo ai soggetti che si oppongono» all’autocandidatura «la responsabilità di ogni conseguenza negativa dovesse derivare» dalla permanenza dei rifiuti radioattivi a Trino «stoccati in un deposito temporaneo».
Anche in questo caso al sindaco fa difetto la memoria. Pane dimentica che proprio questi soggetti – in primis le associazioni ambientaliste e il comitato locale – sono coloro che negli ultimi vent’anni hanno sollecitato lo smantellamento della centrale nucleare “Fermi”, hanno vigilato sul cosiddetto decommissioning e hanno ottenuto – fin da quando lui nemmeno era ancora sindaco – l’istituzione di una commissione comunale ad hoc, che più volte ha convocato Sogin a riferire sull’andamento dei lavori di smantellamento. Commissione che Pane, da quando è stato rieletto, nonostante le sollecitazioni non ha mai convocato.
Dimentica inoltre che proprio nella seduta consiliare dell’11 gennaio scorso lui e la sua maggioranza hanno respinto una mozione, redatta dalle associazioni ambientaliste e proposta dal gruppo consiliare di minoranza, intitolata “Liberare definitivamente il territorio di Trino dalla presenza di materiali radioattivi”, e che impegnava il sindaco e la Giunta
- a sollecitare il Governo a proseguire rapidamente nell’iter per l’individuazione del sito per il deposito nazionale, valutando le caratteristiche dei 51 siti contenuti nella Cnai, in modo da liberare quanto prima Trino dalla presenza di materiale radioattivo sul proprio territorio;
- a sollecitare Sogin ad aggiornare il cronoprogramma dei lavori di smantellamento dell’ex centrale nucleare “Fermi”, che vanno avanti da 25 anni con enorme dispendio di denaro pubblico, in modo da pervenire quanto prima alla situazione di brown field e predisporre il materiale radioattivo al trasferimento al deposito nazionale, da realizzare in un sito che risponda ai criteri della citata Guida tecnica n. 29.
E’ evidente che un sindaco dimostratosi sordo a tutte le iniziative propostegli per accelerare la liberazione di Trino dalla presenza di materiale radioattivo non può attribuire, con una delibera, la «responsabilità di ogni conseguenza negativa» di tale presenza proprio ai soggetti che da anni stanno lavorando in senso opposto.
Triste, solitario y final
Daniele Pane si sta rendendo conto, in questi giorni, che il ritiro a furor di popolo della sua delibera che candidava Trino ad ospitare il Deposito Nazionale non costituisce per lui soltanto una sconfitta su questo punto, ma è il sintomo di un malcontento che potrà avere conseguenze molto più ampie. Con la sua battaglia solitaria per ottenere da Governo e Parlamento la possibilità di autocandidatura (e poi con le conseguenti delibera e pec) Pane ha scavato un solco profondo tra sé e buona parte dei cittadini di Trino, che l’avevano recentemente rieletto con una percentuale bulgara, e inoltre ha indispettito i colleghi amministratori di città e paesi del circondario: sia quelli del suo partito che quelli delle altre forze politiche e delle liste civiche. La richiesta che Pane si dimetta da presidente dell’associazione di Comuni “Borghi delle vie d’acqua”, avanzata a febbraio da Carlo Bailo sindaco di Bianzè e di cui stanno discutendo altri primi cittadini della zona, è il primo risultato dell’evidente disconnessione di Pane dal territorio e dalle sue istituzioni, e del crollo di fiducia che la sua iniziativa – concordata con Roma ma non con il Vercellese e il Monferrato – ha comportato.
L’autocandidatura per ospitare il Deposito alla fine è saltata, ma per il “nuclearista” Pane – e per le sue ambizioni di carriera politica: fare il sindaco di Trino è soltanto il primo gradino – si è rivelata un boomerang. Il ragazzo è ambizioso e cercherà di recuperare, ma in un partito rampante qual è Fratelli d’Italia, dove in tanti dal Vercellese e dal Monferrato sgomitano per arrivare in Regione o in Parlamento, ora parte più indietro.
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Fonte: La Voce

Ci servirebbe una politica industriale …

Da quant’è che non l’abbiamo?

Il disamore di noialtri per Istituzioni e politica, il non sentirsi più rappresentati, si traduce in astensionismo al voto.

Questo, assieme a leggi elettorali che regalano ai vincitori, eletti con solo il 26%, maggioranze bulgare, apre praterie a partiti nazionalisti e populisti.
Sta succedendo in tutto il mondo purtroppo.

Il guaio è che è scomparsa la classe operaia e, di conseguenza, è scomparsa pure la ‘’sinistra’’ storica in cui la classe operaia si identificava.

Non c’è più lavoro manuale in ‘sto paese e, quel poco che c’è, è precario e poco tutelato. Non facciamo più una cippa! Non abbiamo più un’industria pesante in grado di dar lavoro a tante persone.
Manco le palette dell’immondizia siamo capaci di fare. Le importiamo dalla Cina. Ma ci rendiamo conto? Mah …

Vogliamo dare un colpo di reni? Dobbiamo affrancarci dai combustibili fossili vero? Ok, allora avanti, per esempio, con installazioni di Pannelli Solari.
Cribbio siamo un Paese del Mediterraneo, ne abbiamo di sole no?

Allora forza! Investire in fonti alternative. Ma … i pannelli, please, facciamoli noialtri per favore. Non importiamoli dalla Cina, altrimenti siamo daccapo a 12.

Politica industriale … questa sconosciuta …

Alla prossima

Elena

Oggi, se un partito è democratico, si divide … :-(

E te pareva … pure Renzi se ne va.
Il PD è l’unico partito che dà ai suoi componenti ‘’visibilità’’ e fiducia che però, troppo spesso ahimè, vengono sfruttate o per scalarlo dall’interno, cosa tutto sommato normale, oppure se non ci riescono, per fondarsi poi il proprio partitino.

Il PD sta dando vita a partitini che saranno insignificanti. Se la forza è il ”numero” dubito che riusciranno ad averla in questo modo. Tutti che dicono ”uniti” e poi … Mah …

La visibilità nel PD è assicurata in quanto è l’unico partito democratico ancora esistente, gli altri sono tutti di ‘’proprietà di qualcuno’’! Sono tutti partiti legati alla ‘’persona’’ e quindi partiti padronali, che morto il padrone, sono destinati a morire anche loro. Guardate l’esempio di Forza Italia che è legato allo ‘’gnomolaccatodibiaccamarroneintesta’’ (Silvio Berlusconi) ormai ”vecchietto” eppure, lo tengono in piedi, viceversa il partito finisce nel nulla.
Ma il ‘’popollo’’ non capisce e continua a seguire il ‘’personaggio che buca lo schermo’’ più che cercar di capire i problemi ”veri”.
L’Italia va a rotoli ma invece di occuparsi del proprio Paese si occupano del proprio ‘’posto al sole’’. La ‘’politica’’ oggi che cos’è esattamente? Fondare un nuovo partito è forse una risposta ai problemi reali o si tratta solo di un balsamo per il proprio Ego?
Gramsci aveva ben ragione a dire che bisogna partecipare e non essere indifferenti … ma adesso che cosa resta al cittadino ‘’normale’’ che si interessa di politica?
Voglio quindi limitarmi a pensare che la ‘’scala’’ sia cambiata e che la politica italica sia solo più da considerare alla stregua di una rissa da condominio … quindi, dando retta sempre a Gramsci , voglio pensare che: ‘’Sono pessimista con l’intelligenza, ma ottimista per la volontà’’!
Ma gente … che tristezza!

Alla prossima

 

Elena

M5S e … i ”misteri” della ”Piattaforma Rousseau”…

… ”misteri” o ”presa in giro? Consiglierei di leggere e di meditare …

Questo articolo non è mio, l’ho preso pari pari dalla rete. Ma evidenzia tutte le domande che già mi ero posta a suo tempo. Inoltre a tutto quello riportato qui sotto, sarebbe bene aggiungere che il controllo del voto, viene fatto da un notaio scelto dalla Casaleggio&Associati, che è la stessa a gestire la piattaforma. Quindi non ci vuole molto a capire che la ”trasparenza” sia assicurata per ”modo di dire”. Ma è mai possibile che nel nostro paese si sia così boccaloni? Vero è che la ”rete” serve a prendere ”pesci” ma così … si esagera … o no?

Ecco l’esperienza di una iscritta alla Piattaforma Rousseau alle ultime votazioni:

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L’ISCRITTA: “HO VOTATO 4 VOLTE, ZERO CONTROLLI E NUMERI GONFIATI: ECCO COME FUNZIONA ROUSSEAU”. Ho votato anch’io lunedì. Per ben 4 volte! Tutte accettate, senza alcun controllo, né sms.” A dirlo è un’iscritta alla piattaforma Rousseau ben informata sugli aspetti tecnici di piattaforme complesse. Una dei 52.417 che due giorni fa hanno votato per decidere se concedere o meno l’autorizzazione a procedere per il ministro degli Interni Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona plurimo per il caso dello sbarco negato alla nave Diciotti. E, come diversi altri votanti, conferma tutti i dubbi e i sospetti sull’effettiva regolarità, trasparenza e credibilità dei risultati dichiarati dal Movimento 5 Stelle, che hanno visto la maggioranza (circa il 59%) schierarsi contro il via libera ai giudici. “Non si tratta, peraltro, di un caso isolato – chiarisce la donna – Le anomalie e i bug durante le consultazioni online su Rousseau sono la norma.”

Partiamo dall’inizio. Come si è avvicinata al Movimento 5 Stelle? Mi incuriosisce molto l’impatto delle nuove tecnologie sui processi democratici, li studio da molto tempo. Per cui è naturale che mi sia interessata al M5S e che ne segua le vicende. La democrazia elettronica è apparsa una cosa nuova in Italia, ma in realtà ha almeno trenta anni di letteratura e sperimentazione. Già anni fa ho cercato di analizzare più da vicino il funzionamento di questa macchina, e mi sono resa conto da subito di essere di fronte a un sistema deludente e permeabile.

Si riferisce a Rousseau? Sì certo, da più parti è stata evidenziata la sua inadeguatezza a gestire sistemi di voti ed interazione con numeri rilevanti di persone. Al primo tentativo sbagliato si sarebbe dovuto fare ammenda e impiegare un anno ed una squadra di ingegneri davvero bravi a mettere su una piattaforma a prova di errore e di critiche. Per ogni volta che non funziona, il danno alla credibilità delle procedure di partecipazione diretta mediata dalle tecnologie è enorme. In altre parole, Rousseau diventa la prova certificata che la eDemocracy non funziona, è soggetta a distorsioni pesanti, presenta bias tecnici, non rappresenta una forma di legittimazione dal basso dell’azione politica.

È ancora così? Certo, più che mai. E l’ultimo voto sulla Diciotti, che ha registrato – almeno così ci raccontano – il record di partecipanti, lo ha messo a nudo in modo imbarazzante.

Non è stata, dunque, una sorpresa per lei… Assolutamente no. Le dico solo una cosa che è un po’ passata inosservata, ma che, già di per sé rappresenta un problema democratico: ogni votante ha diritto a 2 preferenze. Nel senso che il sistema, di default, incomprensibilmente ti fa votare due volte. Non stiamo parlando di un errore ma di una modalità strutturale: una testa, due voti. Ciò significa, già solo così, che gli oltre 50mila votanti sbandierati da Di Maio sono potenzialmente la metà. In quale forma di democrazia questa cosa è possibile? Che senso ha esprimere due preferenze ad un quesito SI/NO?

Era già successo in passato? Sempre. Anche quando si è trattato di votare per il contratto di governo, nel maggio scorso, mi è stata data la possibilità di esprimere due preferenze. Un’anomalia evidentemente illogica, che falsa in modo palese il numero finale dei votanti e altera la credibilità stessa della consultazione.

Ma questa volta è accaduto anche di peggio… È accaduto che, dopo il secondo voto, mi è stata data la possibilità di votare ancora, e poi ancora, fino a quattro volte. Mi sono resa conto che stava succedendo qualcosa di grosso, quando il sistema è caduto.

Non è la sola ad aver denunciato i voti multipli. C’è chi è arrivato sino a 5 preferenze. Come se lo spiega? Me lo spiego tecnicamente perché, dovendo risolvere velocemente il problema del numero di accessi in contemporanea al sito, evidentemente non predisposto, hanno dovuto disabilitare altrettanto velocemente i controlli tecnici sugli accessi e sul voto stesso, probabilmente per ridurre le risorse server necessarie e quindi rimettere su la piattaforma. Ma questo ovviamente inficia la regolarità del voto. La verità è che i risultati del voto sulla Diciotti non sono verificabili e certificabili. Potenzialmente di quei 50mila partecipanti dichiarati, le persone fisiche effettive possono essere anche tre, quattro volte di meno. Facciamoci un po’ di domande. Perché a questa consultazione dovrebbe aver votato un numero di persone più alto che alla consultazione sul contratto, questione ovviamente di gran lunga più sostanziale per il M5S?

Eppure i 5 Stelle sostengono che sia tutto certificato da un notaio. Sin dal mattino presto il server ha avuto grossi problemi tecnici e si è inceppato a ripetizione per via dei troppi accessi in contemporanea. Il problema è stato risolto in tarda mattinata disabilitando il doppio check attraverso l’sms sul cellulare. Una soluzione che ha sciolto l’imbuto creato nell’accesso, al prezzo però di eliminare l’unica forma di verifica incrociata esistente.

Com’è possibile che una piattaforma come Rousseau non riesca a sopportare l’accesso di qualche migliaio di utenti? Questo è uno degli aspetti più oscuri. Non è la prima volta che accade: ad ogni votazione online si ripete, identico, lo stesso problema tecnico e si moltiplicano i casi di persone che non riescono ad accedere alla piattaforma. Eppure anche un bambino lo capirebbe. Se provo a far entrare dalla porta dieci elefanti, questi rimangono incastrati. A quel punto, o allargo la porta, oppure dico agli elefanti di entrare uno alla volta.

Magari dilatando l’arco di tempo nel quale è possibile votare… Esattamente. Qui non stiamo parlando di elezioni fisiche, con tutti i problemi che comportano. Nulla vieta di spalmare il voto in due giorni, anche – perché no – in orario notturno, permettendo alle persone di votare con maggiore facilità ed evitando ingorghi.

E perché non viene fatto? Questo dovreste chiederlo a loro. Delle due l’una: o non impari dagli errori oppure ti conviene che sia così. Quel che è certo è che Di Maio stesso non sembra minimamente consapevole di come funziona Rousseau e dei meccanismi che lo regolano. È lui stesso che fa coincidere il numero di votanti a una consultazione con il numero totale degli iscritti alla piattaforma. Con percentuali che, di volta in volta, si alzano e si abbassano in ragione delle preferenze espresse. Insomma, una incertezza sul numero degli iscritti e sui numeri in generale è un po’ grave per il capo politico di un movimento.

In conclusione, che idea si è fatta? Siamo di fronte a un sistema assolutamente opaco ed inaffidabile pagato grazie ad una forma indiretta di finanziamento pubblico, cioè da noi, che non ha il reale controllo sul voto online. Questa non è democrazia diretta, anzi non è proprio democrazia…(Articolo di Lorenzo Tosa del 20 febbraio 2019) 

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Consiglierei di leggere e di meditare …

Alla prossima

Elena

Ma se Hillary ha preso più voti … come mai è stato eletto Trump?

Com’è che nonostante Hillary Clinton abbia avuto più voti Presidente sia poi diventato Trump? Cerchiamo di capirci qualche cosa …

Dunque, in America il presidente non è scelto direttamente dai cittadini ma attraverso i ”grandi elettori”, eletti a loro volta dai cittadini.
Un sistema simile lo avevamo anche noialtri nel Medio Evo quando veniva eletto l’Imperatore ed erano i nobili ad eleggerlo.
E comunque … Trump, considerato l’appartamentino di Manhattan, non è poi lontano dagli imperatori.

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Ma torniamo al sistema elettorale americano  …

Il Presidente degli Stati Uniti non è solo il capo dello Stato, a livello federale esercita il Potere esecutivo, mentre il Potere legislativo è affidato alle due Camere del Congresso (Camera dei Rappresentanti e Senato).

I requisiti previsti dalla Costituzione per poter proporre la propria candidatura come Presidente sono tre: avere compiuto almeno 35 anni di età, essere cittadino americano per nascita, risiedere negli USA da almeno 14 anni.

Il diritto di voto spetta a tutti i cittadini che abbiano compiuto i 18 anni di età e che siano iscritti alle liste “elettorali”.

Chi elegge i ”grandi elettori”? I cittadini militanti e/o simpatizzanti dei partiti  si riuniscono nelle loro sedi ed eleggono i loro delegati (Grandi elettori) attraverso ”primarie” aperte o chiuse.  In alcuni Stati  i delegati e/o grandi elettori vengono eletti attraverso un sistema chiamato ”caucus”.

Il vocabolo  pare derivare dal greco ‘kaukos’, che significa ‘boccale’, questo perché le prime votazioni si svolgevano nei saloon .
Altra versione del vocabolo potrebbe risalirebbe alle riunioni dei capi tribù algonchini chiamate appunto caucus.
Il più famoso caucus è quello dello Iowa che, tradizionalmente, inaugura la campagna elettorale interna ai partiti per la scelta del candidato.
Nella sostanza si tratta di una riunione ristretta agli attivisti del partito che in questo modo scelgono i delegati alla convenzione. I delegati poi a loro volta sceglieranno i candidati alla Presidenza.

I Grandi Elettori sono 538 in totale, e sono pari alla somma dei 100 senatori e dei 435  deputati di ogni stato. Sono assegnati proporzionalmente al numero di abitanti residenti in ciascun stato – e dei 3 rappresentanti del Distretto della Columbia, dove ha sede la capitale Washington.

I cittadini esprimono la propria preferenza per il candidato Presidente che piace a loro , ma in realtà non viene eletta la persona singola ma il gruppo di “grandi elettori” ad essa associato. Per i voti popolari (voti dei cittadini) non viene fatto un conteggio generale, ma singolo, Stato per Stato, con un sistema maggioritario secco chiamato ‘winnertakes all‘. (Ci vince pigliatutto)!

Come mai la Columbia ha solo tre rappresentanti? Perchè quando l’America si è federata non volevano che lo Stato in cui risiedeva la capitale avesse troppa voce in capitolo, quindi solo tre, indipendentemente dal numero degli abitanti.

Per diventare presidente occorre la maggioranza assoluta dei voti dei grandi elettori, e cioè 270 voti.
Bisogna però tener conto che i singoli Stati possono legiferare con larga autonomia sul sistema elettorale locale e, in tutti gli Stati, tranne Maine e Nebraska, i grandi elettori vengono assegnati ”in blocco” al partito che ottiene più consensi in quello Stato, senza criteri di proporzionalità.
Ciò significa che il presidente che poi verrà eletto potrebbe anche non essere quello a favore del quale si è espressa la maggioranza degli elettori statunitensi, come ad esempio nelle recenti elezioni che hanno portato Donald Trump alla Presidenza nonostante abbia ricevuto circa 200.000 voti in meno rispetto alla candidata democratica. Ma quello è il sistema quindi … ”ciccia”.

Secondo le informazioni spulciate in rete, i  grandi elettori di ogni Stato, benché si impegnino sulla parola a votare per il candidato vincitore, potrebbero in realtà rifiutarsi di farlo, preferendogliene un altro.  L’obbligo del vincolo di mandato esiste solo in alcuni Stati, in cui l’eventuale infedeltà è vietata e punita penalmente, ma ammesso e non concesso che votassero in modo differente, il voto ”popolare” non verrebbe invalidato.

La cerimonia ufficiale del giuramento ha luogo a Washington a partire dalle ore 12 del 20 gennaio dell’anno successivo a quello elettorale.

Curiosità

Per capire il motivo per cui America si voti a Novembre è necessario ricordare che le leggi che regolano la materia risalgono a fine settecento, quando gli  Stati Uniti erano appena nati ed erano un Paese prevalentemente agricolo e popolato da persone profondamente religiose.
Fu scelto novembre che è un mese meno impegnativo sia per gli agricoltori che per gli allevatori di bestiame.
Inoltre si scelse il martedì, perché la domenica era il giorno riservato al Signore , inoltre bisognava poi permettere ai ”grandi elettori” che viaggiavano all’epoca a cavallo di avere almeno il lunedì a disposizione per raggiungere i seggi collocati allora solo nelle città, mentre loro vivevano nei famigerati  ”midlle of nowhere” !
Inoltre , sempre per motivi religiosi,  la decisione di recarsi alle urne non semplicemente il primo martedì di novembre ma invece “il primo martedì dopo il primo lunedì” fu fatta per evitare che le votazioni coincidessero con la festività di Ognissanti.

Mò sappiamo un po’ di più sul sistema elettorale americano.

Alla prossima

Elena

Per curiosità aggiungo qualche fotografia dell’appartamento di Donald Trump Manatthan. Come possiamo osservare, il signore in questione brilla per eleganza e semplicità! 🙂

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